Il Fabrique di Milano ha ospitato l’unica data italiana del Silver eye Tour, nuovo ed ennesimo capitolo del percorso del duo inglese Goldfrapp che negli anni da Felt Mountain (2000) in avanti, li ha portati ad esplorare diversi confini della musica elettronica. Con la ormai consueta assenza di Will Gregory, metà del duo, ci aspetta un concerto (abbiamo sbirciato la set list del tour prima del via) costruito su i brani più recenti a cui con grande piacere, si affiancheranno alcuni dei loro più grandi successi.

Ed infatti quello a cui assistiamo è un live breve ma assolutamente intenso, un live energico, elettronico, ed allo stesso tempo, come sempre, raffinato con punte a volte pop dance e a tratti invece decisamente più oscuro.

Per spiegarvelo al meglio devo dedicare metà di questo report a lei, Alison Goldfrapp al centro di tutto, indiscussa regina della scena. Centralità evidenziata dall’allestimento semplice, nudo, lei come isolata dal resto del gruppo, colpita dalle luci e dai ventilatori che sparano potenti sulla sua postazione, sui capelli, cosi sempre fluttuanti come le sue movenze, mai eccessive, sempre ben calibrate. Alison, in total black latex, che lascia intravvedere le sole ginocchia e che addosso a lei non è per nulla aggressivo (come potrebbe invece apparire), è assolutamente affascinante in tutto quel che fa. La voce sensuale, leggera, spesso filtrata e accompagnata dai cori di Angie Pollack e di Hazel Mills alle postazioni synth, per una prima linea, anche dal punto di vista scenico, tutta al femminile e tutta dalla capigliatura rossa, e che sia anche quest’ultima voluta, non è dato sapere. Accompagnata da basso, batteria, è perfetta, pulita come i suoni che ci catapultano in ultra dimensione. Gli sguardi intensi, quando i suoi occhi incrociano i miei (ne sono convinto), guardando alla sinistra del palco in prima fila dove sono posizionato, colmano le poche parole tra una canzone e l’altra. Ma in fondo apprezzo quella sorta di non dialogo marcato, non ho mai amato chi troppo parla, è la musica che deve parlare, non serve altro. 

Ma addentriamoci nella storia del live, che si apre e chiude con l’atmosfera volutamente creata da Hairy Trees e Black Cherry estratte dall’omonimo album del 2003, in versione studio, non suonate, con la band fuori stage, e che poi vede un emozionante crescendo, come da scaletta che abbiamo recuperato in regia (di cui rimane il mistero 25 october 2015), grazie a brani del nuovo album alternati a pezzi fondamentali del repertorio dei Goldfrapp.

Zodiac Black in un atmosfera ancora pacata dalle luci soffuse e dal fumo presenta introduce le sonorità avvolgenti della band, con gli intermezzi più oscuri di Ocean e Become The One, ad accendere il pubblico, per lo più over 30, sono i singoli incalzanti Anymore, Everything Is Never Enough e Systemagic tutti estratti da Silver Eyeche anticipano e rimandano ai classici del duoche arrivano puntuali con la tripletta  Number 1, Ride A White Horse e Ooh La La in una sequenza che travolge a valanga il pubblico che balla e canta con Alison.

Insomma è andato in scena il meglio o forse non tutto. Infatti dopo la pausa, per l’encore, godiamo di altri due “magic moment”. La profonda Utopia dai ritmi calmi, dona un attimo di respiro e di riflessione, prima di un finale roboante con Strict Machine. Saluti e baci.