Una serie di linee rette colorate che convergono in un unico punto di fuga centrale, come grattacieli stilizzati che si perdono in un invisibile orizzonte. L’immagine di copertina di Ukiyo, il nuovo disco dei mantovani Two Hicks One Cityman, rappresenta magnificamente il mood della loro musica: un perfetto mix di diverse influenze (synthpop, indie rock e funk) che hanno come punto in comune la malinconia dei suoni. Uno scrigno di sorprese in cui le pareti si fanno sintetiche, le tastiere affiancano le chitarre e la sezione ritmica, da sempre il cuore pulsante del progetto, spinge sull’acceleratore. I testi vanno a scavare in profondità e ogni canzone è una storia, una persona, un sentimento in cui immedesimarsi.

In questa intervista Alessandro, Francesco e Giorgio ci raccontano il loro mondo, fatto di interrogativi, amore e soprattutto spensierato dolore.

Chi tra i tre è l’uomo di città e chi sono, invece, i due campagnoli?

Questa domanda sembra semplice ma non lo è. Siamo stati snobbati più di una volta per questo nome. Si tratta, in realtà, di un gioco di opposti che portiamo avanti sin dal 2015, quando ci definivamo “Soul/Space-Rock”, che a primo impatto sembra non voler dir niente. È più una metafora per descrivere la nostra musica e il nostro processo creativo. Un’idea semplice, sanguigna come la black music e istintiva come il folk. Un atto liberatorio. Questa idea viene elaborata, manipolata, contaminata da altre sonorità, anche volutamente estranee. Questo gioco di opposti si riscontra anche nel nostro ultimo video, quello di “Love the Vibe”, dove l’affollata metropoli giapponese contrasta con ukiyo, il mondo fluttuante.

Il vostro nuovo disco si chiama “Ukiyo”: cosa significa questo termine giapponese e perché vi rappresenta?

Ukiyo è un termine buddista che indica, appunto, un mondo fluttuante che si discosta dal ciclo morte-rinascita appartenente alla loro religione. Ci piaceva anche il fatto che si ricollegasse ad una precisa corrente artistica “ukiyo-e” e ad alcuni aspetti sociali (borghesia libertina non gradita all’impero ecc.). Questo termine, proiettato su di noi, ha più il senso di descrivere il nostro processo di scrittura: rinchiudersi nella propria bolla creativa, dimenticando ogni cosa del mondo esterno.

Come mai la scelta di cantare in inglese invece che in italiano?

Pur stimando profondamente diversi cantautori italiani: Lucio Dalla, Battisti, De André, siamo cresciuti con la musica inglese ed americana, fin da piccini. Tra medie e superiori ascoltavamo già i Nirvana, Red Hot Chili Peppers, The Clash, Ramones, The Doors, Blur, Beatles, Oasis. Insomma, un ascolto transatlantico che rimbalzava tra UK e USA. Ci piacerebbe dare alla nostra musica un taglio internazionale, anche se siamo consapevoli che ciò potrebbe apparire come pretenziosità. Tuttavia, è ugualmente strano il fatto che nell’ambiente musicale, soprattutto indie, è sparito questo tipo di mentalità internazionale, mentre sembra che stia tornando in auge un eccessivo “nazionalismo” anche in questo senso. O canti in italiano, oppure non esisti, giochi a fare la rockstar da bar, ecc.

Nel disco ci sono pezzi molto romantici e malinconici, come “Somebody Just Like You”, in cui la voce sognante di Alessandro si sposa perfettamente con tutti gli strumenti. Qual è il più bel gesto d’amore che avete fatto nella vostra vita?

Ognuno di noi tre ha vissuto vicende amorose molto diverse, ed è quindi difficile fare un esempio in maniera generica, ma per quanto riguarda questo brano, il vero gesto d’amore è quello di scegliere la stessa persona ogni giorno, nonostante le varie e apparentemente insormontabili avversità.

Nei testi si possono trovare anche tanta rassegnazione e dolore: “I wanna something/Just like you do/Don’t wanna wait but/I have to choose/With all the pain that/It makes me prove” (Da “I wanna something”). Da cosa, o da chi, avete preso ispirazione per scrivere le parole di “Ukiyo”?

È molto difficile descrivere, e soprattutto individuare, un’unica ispirazione. Moltissimi fattori hanno portato alla realizzazione di questo disco, dalle sonorità che hanno accompagnato le nostre vite durante il periodo compositivo fino alle vicende personali. In generale, però, il dolore è sempre stato in qualche modo parte delle nostre canzoni, più che dolore preferiamo il termine malinconia, quella malinconia che accompagna la vita di tutti noi a braccetto e in contrapposizione con tutto ciò che ci fa stare bene, giusto o sbagliato che sia. Potremmo quasi affermare che per quanto riguarda i testi delle nostre canzoni, questo antagonismo tra giusto e sbagliato sia la vera ispirazione.

Qual è il significato del brano “Marineo”?

Il tema principale di questo brano è la malinconia legata ad una sensazione che in questo periodo stiamo facendo sempre più nostra, ovvero, quella di essere ormai largamente usciti dalla adolescenza, quel periodo in cui tutto è cominciato, in cui non ci si poneva mai nessun paletto, nessun limite. La canzone si chiama Marineo perché è nata durante il nostro tour al sud dell’anno scorso, mentre in qualche modo, da soli e lontani da casa, abbiamo rivissuto giornate che hanno strizzato l’occhio alla nostra adolescenza, in un paesino in provincia di Palermo da cui la canzone prende il nome.

Avete dei concerti in programma nei prossimi mesi?

Il prossimo concerto in vista è domani, il 13 Aprile, al circolo Arci Chinaski di Sermide, dove si svolgerà il release party del nostro nuovo disco. Successivamente, suoneremo il 16 Aprile al Lio Bar di Brescia ed il primo maggio al Somenfest, sempre a Brescia, insieme ad un sacco di band: Universal Sex Arena, Frank Sinutre, Sdang!, per citarne alcune. Queste sono le date relative alle prossime settimane, ma stiamo già fissando concerti nel periodo estivo.