«Se c’è qualcosa in cui ho sempre creduto è che anche se parti dalla strada puoi arrivare ovunque tu voglia». Ne ha tante, Benjamin Stanford aka Dub Fx, di cose in cui crede fortemente ad altrettante che lo appassionano fin al midollo. Ascoltandolo la prima cosa che viene da pensare è che ci sia stato zero spazio per la noia, nella vita di questo fuori classe del beat box e della dub ma soprattutto campione nel mischiare fino a quasi annullare i generi, nel nome del gusto e dell’arte. Australiano di origini italiane, a pochi giorni dal suo live di domenica 21 agosto a Festareggio e dall’uscita il 26 Agosto, a dieci anni dal suo esordio, del suo terzo album in studio Thinking Clear Benjamin si lascia andare a una lunga chiacchierata (in italiano perfetto con un leggero accento toscano di Lucca) che dai viaggi passa alla storia dei suoi genitori per approdare a un’inaspettata parentesi spirituale che illumina di luce ancora nuova il suo già densissimo universo.

Sei uno che ha letteralmente girato il mondo: quanto ha influito questo girovagare sulla tua musica?

Credo che ogni artista debba compiere il suo viaggio personale: c’è chi lo fa solo interiormente e chi, come me, ha bisogno di farlo anche fisicamente. Io ho capito molto presto che il mio metodo per tirare fuori il meglio era mettermi in tante situazione sfidanti, come vivere per strada, senza soldi e senza conoscere nessuno e con la necessità di trovare soluzioni ogni giorno. Questa sfida continua ha fatto sì che sviluppassi più spirito d’iniziativa, più creatività e più intuito. La strada è meritocratica: le persone ti chiedono di fare qualcosa di nuovo, di prendere quello che sei e conosci e trasformarlo, e allora capisci come diventare un performer totale. La gente ti paga per sperimentare e se gli piace ti comprano il cd, sennò passano oltre. È fondamentale, allora, vedere il mondo e capire cosa piace alla gente per, poi, farlo tuo.Viaggiare, specie in giro per l’Europa, ha fatto anche sì che musicalmente parlando venissi a contatto con gusti e generi diversi, che mi hanno appassionato in egual misura ma per ragioni diverse. L’Italia, per esempio, ha tirato fuori lo spirito reggae che è in me, l’Inghilterra, invece, il grime e la dub. Per questo viaggiare è stato cruciale, se fossi rimasto in Australia avrei continua a sciropparmi pop, pop e ancora pop.

 Oggi senti di avere ancora delle sfide davanti o sei più rilassato?

Sono senza dubbio più rilassato, perché la sfida maggiore, cioè la vita di strada, l’ho superata. Non solo: sono soprattutto riuscito a campare facendo musica senza cambiare me stesso, ma rimanendo fedele a ciò in cui credo. Per farlo ho capito che bastava concentrarmi sull’essere sempre positivo, anche quando le cose andavano di merda, e sul proteggere la mia originalità. Ora sono in una fase diversa, sono nel così detto “mondo del business”, mi chiamano in tanti per partecipare a festival o girare video e quindi la sfida è imparare a gestire il successo senza fare cazzate, ma mi conosco abbastanza per dire che non è un rischio che corro. Non ho grilli per la testa, non sono avido e davvero la musica ha un significato di senso della vita per me, non di mezzo per arricchirmi.

Com’è stata la tua educazione musicale in famiglia? I tuoi ti hanno stimolato ad appassionarti alla musica?

I miei sono tipi da film: erano giovanissimi punk quando si sono conosciuti e innamorati, poi hanno avuto me a 21 anni e si sono dovuti arrabattare per potermi mantenere. Arriva da loro l’esempio della strada, perché sono partiti vendendo ai passanti gioielli di bigiotteria che disegnava la mia mamma. Poi con i guadagni sono riusciti a trasferirsi a Melbourne dove hanno aperto un negozio, che poi è diventato un’azienda. Insomma, una storia di successo pulito e onesto che è sempre stata d’esempio per me. In più mi hanno sempre fatto respirare arte e musica e non hanno mai tentato di essere d’ostacolo ai miei sogni. Sono stato molto fortunato.

Come scrivi i pezzi, pensi prima alla melodia e al beat box o alle parole?

Per me viene tutto in modo molto naturale ma sempre diverso. Questo è un discorso parecchio lungo e complesso, perché credo molto nel chiedere all’universo l’ispirazione. So al cento per cento di non essere il solo attore in gioco nello scrivere le  mie canzoni, mi sento piuttosto un canale, un mezzo attraverso il quale esce un’energia universale. Credo molto in questa cosa che è intangibile ma che esiste, così come la consapevolezza: non ha un peso, non la puoi toccare, ma è reale. Tutto questo l’ho sempre sentito, anche da piccolo, ma non sapevo dargli un nome, poi, superata la fase dell’adolescenza quando sei un po’ coglione e pensi solo a bere e stronzate del genere, ho letto tanto sulla coscienza collettiva, sulla meditazione trascendentale e sulla quinta dimensione e ho capito che era ciò in cui avevo sempre creduto.

Tornando a cose più terrene, come spieghi l’enorme successo che hai sui social, dove sei seguitissimo?

In sostanza penso che i social network siano un po’ la cassa di risonanza amplificata a mille della dimensione da cui sono partito e che essere apprezzato lì sia una conseguenza diretta di quanto raccolto negli anni in cui Internet era ancora un fenomeno minore. Il tam tam di quando mi esibivo per le strade e le piazze delle città europee e che mi ha permesso di vendere 200 mila dischi in un anno senza YouTube si è poi riversato sui vari Facebook and company. Poi la svolta, ovviamente, c’è stata nel 2008 quando il regista Ben Bowden mi ha chiesto di poter girare il video live di Love Someone

e ne ha fatto un lavoro straordinario. Quel video ha segnato la svolta e mi ha dato parecchia notorietà: è stato il momento perfetto, la mia sliding doors vincente. Quindi alla fine sì, mi sono fatto il culo ma ho anche avuto culo.

È vero che stai scrivendo un comic book?

Sì, ci sono sotto da 10 anni e ho ancora un mucchio di idee da metterci dentro. Ma è ancora tutto troppo incasinato per poterne parlare con nozione di causa!

Hai diversi tatuaggi raffiguranti alberi, come mai?

Per me estetica e senso delle cose sono 2 componenti che vanno di pari passo, quindi per quanto riguarda i miei tatuaggi li ho fatti un po’ perché trovo che gli alberi siano esteticamente meravigliosi e un po’ perché sanno infondermi una profonda, bellissima calma.

Il tuo idolo musicale assoluto?

Bob Marley.