Ci sono migliaia di ragioni per fermarsi a Bologna per qualche giorno, città che richiama persone da tutto il mondo. La cucina emiliano-bolognese, una splendida città con oltre 2000 anni di vita, ancora vivi grazie ai palazzi medievali e ai caratteristici ed infiniti portici, la vibrante e dinamica atmosfera creata dalle migliaia di ragazzi e ragazze che frequentano la prima e più antica Università, e un motivo imprescindibile: il DOPA HOSTEL.

Dopa Hostel, situato nel cuore della città, non è semplicemente un Ostello, non è un Hotel e non è tantomeno un Bed & Breakfast. E’ un porto, un punto di incontro, dove in modo del tutto naturale nasce convivialità  tra ospite ed ospite. Ogni giorno cercano di far sentire “a casa” ogni viaggiatore che li ha scelti, e cercano di trasmettere l’atmosfera amichevole, conviviale e vibrante di Bologna, anche dentro le loro mura.

Come ci racconta Paris Koumiotis, il 99% di ciò che puoi vedere e toccare all’interno di Dopa Hostel è speciale, perchè è stato realizzato a mano, con passione, mischiando tradizionali icone ed oggetti emiliani. Un qualcosa che avesse uno stile frizzante ed accattivante, ma che allo stesso tempo potesse richiamare alcuni simboli della città e dell’Italia.

Da Reggio Emilia a Bologna. Come e perché è nato questo progetto?

Se devi spostarti, almeno fallo in un luogo che ti piace veramente. Bologna mi ha sempre ispirato tantissimo. Da sempre la reputo una città interessante e accogliente per viverci.
Lavorare in un posto che non ti piace credo sia un grosso errore. Devi innamorarti ancora prima del luogo che del lavoro. Lavorare per vivere, vivere per lavorare.

L’intuizione è venuta due anni e mezzo fa, in un periodo della mia vita in cui avevo bisogno di idee, di mettermi in gioco e l’unico modo per farlo era viaggiare. Viaggiando assimili un sacco di input, ti si apre la mente, il pensiero diventa libero da costrizioni. Viaggi non solo con il fisico ma anche con la testa. In queste circostanze, casualmente in verità, è nata questa idea.

Viaggiare. Ora il tuo è più un accogliere chi viaggia. Ti sei immaginato come vorrebbe esser trattato il tuo “io viaggiatore”? Perché proprio un ostello.

Ho scelto volutamente di viaggiare per ostelli negli ultimi anni perché avevo capito che mi piaceva viaggiare in quel modo e solo in quel modo.

Ora esser dall’altra parte della barricata non è altro che portare la classica passione ad un livello superiore. Ho avuto tante passioni ma fino ad ora non avevo mai tentato di farla diventare un lavoro. I motivi? semplicemente non era abbastanza la passione o perché non percepivo potenzialità e opportunità concrete.
Quando mi sono trovato al bivio del mio viaggio, del decidere cosa fare della mia vita, mi sono reso conto che questa poteva essere la passione da elevare alla dimensione lavoro.

…e perché DOPA?

DOPA deriva da dopamina, sostanza che produce il nostro corpo in momenti di eccitazione, di felicità, di energia positiva.
Quindi un qualcosa di forte e legato profondamente al concept di questo spazio/ostello. Inoltre DOPA deriva da un album di Neffa che si chiama “I messaggeri della dopa”, famoso per aver dato una svolta importante alla musica hip hop in italia ed è stato registrato manco a dirlo a Bologna.

Dopa è un spazio internazionale dalla A alla Z, ma vogliamo anche legarci alla città e alle sue radici.

Se dovessi descriverlo con tre aggettivi. 

Internazionale appunto. Aperto. Dettagliato.

Cosa intendi per dettagliato?

Questo genere di strutture spesso non lo sono. L’ho percepito prima da viaggiatore e ora da addetto al settore.
La tendenza, senza generalizzare, è di fare il necessario, in modo un pò approssimativo. Dall’estetica della location, alla gestione del lavoro, alla progettualità nel tempo.
Quindi il viaggiatore che frequenta un ostello generalmente non si aspetta grandi cose. Quando arriva a Dopa rimane invece stupito da questa cura totale per i dettagli.

Ti conosco come una persona precisa, in verità lo sono anche io e capisco benissimo quanto sia importante per te curare ogni aspetto.

Per noi è un piacere ed un dovere offrire qualcosa di curato. Vogliamo che il nostro “viaggiatore” stia bene, che viva il soggiorno in un determinato modo.

Da quando abbiamo aperto cerchiamo costantemente di carpire le esigenze dei nostri ospiti, nel limite del possibile e rimanendo nel concetto di ostello. Noi stessi (io e i miei collaboratori) viviamo in questo ambiente e non ci poniamo come servili ma come collaborativi. Siamo terra terra, la linea tra servizio e libertà (per tutti) di godersi questo spazio è sottile.
A qualcuno piace, ad altri meno.

Stasera, grazie per la cena e il vino rosso, ho visto ospiti di diverse nazionalità. Com’è vivere a contatto con culture e abitudini differenti dalle nostre?

Ti dirò che sono piacevolmente stupito dal fatto che da noi passino parecchi italiani e che frequentino e vivano appieno “il luogo” ostello. Credo li muova la curiosità, tanta curiosità. Per alcuni di questi ragazzi è la prima esperienza. Non me lo aspettavo. Vedo in questo un segnale di apertura verso questo mondo.

Gli stranieri, discorso diverso, sono più abituati a viaggiare in questa modalità.
le esigenze sono le più svariate, la difficoltà maggiore sta nell’unire in unico spazio culture differente. Ma è anche il bello del nostro lavoro.

…e dai raccontami un episodio. Un aneddoto particolare!

Potrei raccontarti mille episodi in questi primi mesi. Cosi sul momento, mi viene in mente un gruppo di ragazzi indiani. Bravissimi ma distanti dai nostri canoni di turismo.

Vengo al dunque. Una mattina mi chiama la donna delle pulizie che mi invita con urgenza ad andare in bagno.
Entrando mi accorgo che avevano defecato nel bidet. Sono stra convinto che per loro quella fossa una forma diversa di water, mai vista prima. Nessun dispetto, semplicemente cultura e abitudini differenti.

I tuoi ospiti preferiti?

Quelli che io definisco i “presi bene”.
Due nazionalità in particolare: Polacchi, persone che si adattano senza problemii, casinisti e sportivi in senso buono, e gli Australiani. Fantastici, loro creano le situazioni!

Ultima domanda. Credi che questo tuo format possa essere allargato ad altre realtà italiane? Se si in quali città.

Se avessi individuato dei posti non ve li direi (ride).
Di una cosa sono certo. Se dovessi far, da solo o con un team di persone, qualcosa in nuovi luoghi non replicherei una cosa come DOPA. Il bello di un ostello come il nostro sta nella sua identità unica.
Questo perché trovo che il nostro mondo rimanga ad oggi uno dei pochi non replicato in modo massiccio come una catena McDonald.

Quindi altro nome, altro stile sinergico alla cultura e al contesto/città.

Esatto. Il progetto si adegua al luogo e non viceversa. Chi viaggia, chi frequenta ostelli, vuole l’unicità del posto, l’unicità del momento.

E cosi sia Paris!