Jacopo Incani in arte Iosonouncane viene da Sulcis, in Sardegna, una delle zone più povere d’Europa e al contempo più illuminate dalla bellezza che solo quest’isola enigmatica è capace di regalare. Si sente, nel disco DIE, l’odore della terra da cui proviene il suo autore, che in 4 anni di lavoro ha scritto un concept album tanto anomalo per il panorama italiano quanto assimilato, fagocitato, letteralmente divorato dai tantissimi che lo hanno apprezzato. Impastato con i canti tenore ci sono i sintetizzatori, amalgamate alle parti corali dall’atmosfera vintage ci sono suoni elettronici talvolta violenti, e poi c’è la storia: la storia di un uomo e una donna, dove l’uomo si trova in mezzo al mare e ha paura di morire e la donna guarda dalla terraferma gli ultimi scoppi di burrasca al largo, con il timore di non rivederlo mai più. Ecco, DIE non è altro che la descrizione dei loro pensieri e il fil rouge tra i brani non poteva che essere la tensione e il senso di tragedia. Alla quale, forse, non c’è scampo. Abbiamo provato a chiederlo direttamente a Jacopo, disturbandolo in uno dei sui rari momenti di vacanza nella sua Sardegna prima di partecipare al Todays Festival di Torino venerdì 26 agosto allo Spazio 211, e questo è quanto ci ha raccontato.

Arcaicità e contemporaneità: che ruolo hanno svolto queste 2 componenti nella scrittura di DIE?

Solo l’arcaico è, a mio avviso, capace di essere perennemente contemporaneo. Non riesco quindi a scindere questi due piani, o quanto meno una scissione di questo tipo non mi interessa, non mi serve. Direi quindi che è questo punto di vista ad aver svolto un ruolo fondamentale nella genesi di DIE.

Che significato e che peso dai alle radici?

Se le radici sono profonde e solide i rami possono allontanarsi tantissimo dal suolo.

Sei stato più ispirato da ciò che hai ascoltato o da ciò che hai letto durante i 4 anni di lavoro sul disco?

Entrambe le cose. Mi riesce difficile scindere ciò che leggo da ciò che ascolto, perché tutto va ad alimentare e nutrire lo stesso processo.

Che ruolo ha avuto il tuo produttore Bruno Germano?

Il lavoro di Bruno come co-produttore è stato fondamentale, soprattutto nel processo di sintesi perché a un certo punto mi sono reso conto di aver accumulato davvero troppo materiale e lui mi ha dato una grossa mano a selezionare, scartare, mettere da parte.

Che effetto ti fa essere il solo a essere sempre nominato dai colleghi italiani quando gli si chiede “chi ascolti e stimi oggi”?

Mi fa molto piacere.

Come mai questi titoli così brevi ed essenziali, come Carne, Tanca, Stormi?

Volevo innanzitutto evitare ogni tipo di ridondanza e volevo che i titoli dei brani evocassero unicamente delle categorie, questo per far sì che i testi respirassero pienamente senza costrizioni o letture soffocanti a priori.

Die è anche un racconto sulla paura della morte: l’arte esorcizza, aiuta o nulla di tutto ciò?

L’arte è l’inutile e ineluttabile tentativo dell’uomo di portarsi oltre la morte. Come tale quindi non può che essere profondamente disperato e vivificante allo stesso tempo.

Com’è nata l’idea dei 9 remix di Stormi [leggi qui]?

È una cosa che volevo fare da tempo per ragioni ludiche: mi divertiva (e mi ha divertito) l’idea di vedere stravolti i miei pezzi da altri.

Che cosa puoi anticipare sullo split con i Verdena che uscirà il 2 settembre?

Nulla. Solo che ci siamo divertiti tantissimo.

Ci sono altre forme artistiche, oltre alla musica, che ti ispirano e nelle quali vorresti cimentarti?

Sì, il cinema.