Lontana dall’intento di scrivere un masterpiece della letteratura italiana, ho voluto comunque riprendere dal buon vecchio Thackeray (e non da Marchetti, attenzione) la serialità delle narrazioni che si susseguono in Vanity Fair e su quella falsa riga costruire un altro tipo di storie.
Anzi, più che storie, le mie vogliono essere delle immagini che cercano di legare alla musica di un brano le sue possibili evocazioni di ambito stilistico, tale che, in questa fiera della vanità, a sfilare siano gli artisti vestiti delle loro note, dei colori invisibili che solo con un orecchio attento si possono percepire.
Sulla passerella della vanità, lasciamo che a succedersi sul catwalk (di artisti e musicisti), sia invece la nudità dell’indie.
COSMO, Sumia
Con “Sumia”, Cosmo torna a divertirsi davvero. Una “canzone di pura idiozia da pista”, come la definisce lui stesso, nata in studio tra risate, synth impazziti e jam liberatorie con Enea Pascal e Leonar.dj.
Il risultato è un delirio techno-funk infettivo che sa di sudore, cassa dritta e ironia piemontese: un’esplosione di groove animalesco, pensata per perdere il controllo sotto le luci stroboscopiche.
Nel remix di Enea Pascal la traccia si contorce ulteriormente, virando verso un’epifania club mistica e disturbata. Sumia è Cosmo che gioca, provoca e balla fino a diventare – letteralmente – scimmia
R.M. & the Imaginative Orchestra, Wandering in Gaza
“Wandering in Gaza” è un’esperienza più che un brano: un viaggio sensoriale tra il caldo opprimente del deserto e la vertigine della distruzione. Il duduk apre il paesaggio sonoro come un miraggio, la chitarra fretless si piega e stona, poi arriva l’esplosione — una scarica che sembra diretta da Michael Gira degli Swans. Ma tra le macerie qualcosa si muove ancora: il dialogo fragile tra moog e flauto di pan, simbolo di speranza e rinascita. Una preghiera laica che fonde elettronica, ambient e dolore, trasformando l’orrore in una visione.
Miglio, Traumfabrik Again
Con Traumfabrik Again Miglio (foto di copertina) costruisce una fabbrica dei sogni fatta di cemento e glitch, dove la resistenza diventa gesto vitale. È un disco che respira tra macchine e corpi, elettronica e lirismo, intimità e coralità. Ogni brano è una fenditura nel presente: un modo per attraversare l’incertezza senza fuggirla, per trasformarla in conoscenza. Niente nostalgie, solo materia viva — drum machine che pulsano come vene, sintetizzatori che sudano città e solitudini. La nuova Traumfabrik non è un rifugio, ma un’officina di visioni condivise.
MOOD, YODA
Dopo otto anni di silenzio discografico, i MOOD tornano con “YODA”, un brano che segna una svolta netta verso territori elettronici e tribali. Big beat distorti, percussioni ancestrali e synth abrasivi si intrecciano in un rituale sonoro che vibra di energia e resistenza.
Lontani da ogni comfort zone, Daniele Maini e Francesco Molinari firmano un ritorno potente, spirituale e viscerale: un invito a ritrovare la propria forza interiore e a “resistere esistendo”.
Un pezzo che sembra nato da un incontro immaginario tra i Prodigy e la tradizione mediorientale, sospeso tra rave e rito. Sumud, come dicono loro: la perseveranza come atto creativo e politico.
AMORE AUDIO, UN MODO
Con “Un modo” gli Amore Audio trasformano una bugia in un mantra elettronico.
Un solo verso – «un modo lo troviamo» – diventa l’eco disperata di due amanti intrappolati nel tentativo di salvarsi a vicenda.
Bassi corposi, synth pesanti e progressioni che collassano su sé stesse disegnano il suono di una promessa tossica, detta più per paura che per speranza.
Il duo riesce a tradurre la fragilità dell’autoinganno in musica: un equilibrio precario tra lucidità e illusione.
Come la mano che porge il veleno a Socrate nel dipinto di David, “Un modo” racconta la consapevolezza del gesto sbagliato e, insieme, l’impossibilità di fermarlo.
juni, di malva
Con “di malva”, juni trasforma l’allucinazione in linguaggio sonoro.
Il brano è un rituale intimo e perturbante, dove la voce si dissolve tra creature invisibili, dialoghi impossibili e un’oscura calma aliena che stritola senza chiedere nulla.
L’elettronica si piega al sogno, si contorce nel panico e trova rifugio nella magia: ogni suono è un frammento di visione, un riflesso nello specchio di una festa vuota.
juni non spiega, evoca. Costruisce un edificio d’errori abitato da sibille, incantesimi e orrori quotidiani.
“di malva” è il suono del riconoscersi e del perdersi, un viaggio nell’invisibile dove l’intimità si fa incantesimo.
In playlist
Vanarin, Goodbye ASCOLTA QUI
Blind Loops, Dift ASCOLTA QUI
Maju, Still Becoming ASCOLTA QUI
Marco Castello, Editto Dal Sottoscoglio ASCOLTA QUI
GIONATA, Burnout ASCOLTA QUI
TA GA DA, Let’s make a circle around my life and then stay out of it ASCOLTA QUI
Bee bee sea, You ASCOLTA QUI
TABASCOMENO FEAT. ACQUA DISTILLATA, Tavolo Tondo ASCOLTA QUI