Lontana dall’intento di scrivere un masterpiece della letteratura italiana, ho voluto comunque riprendere dal buon vecchio Thackeray (e non da Marchetti, attenzione) la serialità delle narrazioni che si susseguono in Vanity Fair e su quella falsa riga costruire un altro tipo di storie.
Anzi, più che storie, le mie vogliono essere delle immagini che cercano di legare alla musica di un brano le sue possibili evocazioni di ambito stilistico, tale che, in questa fiera della vanità, a sfilare siano gli artisti vestiti delle loro note, dei colori invisibili che solo con un orecchio attento si possono percepire.
Sulla passerella della vanità, lasciamo che a succedersi sul catwalk (di artisti e musicisti), sia invece la nudità dell’indie.
Crookers, okgiorgio, scs
“scs” è un’istantanea perfetta di ciò che accade quando l’istinto creativo incontra l’elettronica. Crookers e okgiorgio (foto di copertina) generano un brano che è un viaggio tra pulsazioni club e malinconia sintetica, un equilibrio precario tra la voglia di ballare e quella di perdersi nei pensieri. Il campione vocale di HÅN, scomposto e riassemblato con precisione chirurgica, diventa un filo conduttore etereo che attraversa la traccia come un’eco lontana. Il beat, asciutto ma incisivo, strizza l’occhio alla house più raffinata e alla techno atmosferica, rendendo il pezzo perfetto tanto per il dancefloor quanto per un momento di solitudine in cuffia.
alessandro fiore, sei l’america quando chiudo gli occhi
Un battesimo che sa di sogno lucido e nostalgia quello degli alessandro fiore, che con “sei l’america quando chiudo gli occhi” aprono le porte a un universo sospeso tra ricordi e visioni. Il brano fonde con delicatezza la profondità confidenziale del cantautorato anni ’70 con i riverberi psichedelici che ammiccano ai Tame Impala e alle derive eteree dei Beach House. Un tappeto sonoro caldo e avvolgente, dove synth dilatati e chitarre morbide accompagnano una voce che sembra sussurrare più che cantare, come se stesse confidando un segreto al buio. “sei l’america quando chiudo gli occhi” ha un che di cinematografico, una storia che ci invita a perderci dentro noi stessi, tra malinconie passate e sogni ancora da decifrare.
Il Mago Del Gelato feat. Le Feste Antonacci, In punta di piedi
“In Punta di Piedi” è quel brano che ti solleva da terra senza preavviso, trasformando la pista da ballo in un cielo in assenza di gravità. Il Mago Del Gelato, insieme ai frizzantissimi Le Feste Antonacci, confezionano un’esplosione disco-funk dal gusto fresco. “In Punta di Piedi” racconta quell’incontro casuale che riaccende connessioni sopite, quando la musica dissolve il mondo attorno e lascia solo due anime orbitanti nella stessa melodia. Un brano che fa sudare e sognare allo stesso tempo, lasciandoti addosso la voglia di non farlo finire mai.
Calibro 35, Reptile Strut
Con “Reptile Strut”, i Calibro 35 ci ricordano perché sono un riferimento per la scena groove internazionale. Il brano è un concentrato di funk, jazz e rock: un perfetto equilibrio tra coesione e improvvisazione, dove la tecnica impeccabile della band incontra una libertà espressiva quasi cinematografica. Il pezzo è tanto fisico quanto visionario, un trip sonoro che trascina l’ascoltatore tra tensione e rilassamento, tra terra e spazio.
cólgate, ORRIDO
Con “ORRIDO”, i cólgate firmano un disco di debutto intenso e necessario, un album di formazione che somiglia ad un Bildungsroman raccontato con lucidità. Il loro shoegaze misto all’alt-rock è ricco di riverberi e atmosfere sognanti, ma anche di un’urgenza palpabile, un bisogno di dare voce alle incertezze, alle ferite e ai cambiamenti. Con riferimenti alla new wave, all’indie-rock anni ’90 e a un’estetica sonora volutamente ruvida e imperfetta, “ORRIDO” è un album che non vuole solo raccontare il disagio generazionale, ma accoglierlo, dargli forma e trasformarlo in qualcosa che resta.