Tutto bene racchiude l’estetica degli anni 80, le sonorità scintillanti degli anni 50, la nostalgia degli anni 60, catapultando l’ascoltatore nel mondo in technicolor dell’Italo disco. Un immaginario musicale in cui ritrovare il cantautorato di Battisti e le colonne sonore di Giorgio Moroder, in cui specchiarsi nei suoni eclettici, psichedelici e contemporanei di Connan Mockasin ed Ariel Pink.

Ma in realtà, come scoprirete in questo articolo, i riferimenti e le radici, sono innumerevoli. Avventuroso come il suo nuovo progetto, l’artista italiano Nico LaOnda, che ha trovato la sua base creativa a Flatbush, nel cuore di Brooklyn, ci racconta traccia dopo traccia, il debut album – uscito per La Valigetta, concepito sull’asse New York-Roma insieme a Luca Di Cataldo (Weird Bloom) – anticipato in una calda estate dai singoli “Casco Ribelle” e “Fratello Gemma” e a cui farà seguito un tour con la band non solo in giro per l’Italia, ma anche alla scoperta dell’America e dell’Europa.

“Sottobanco”
La frase di apertura del disco “non porti mai la biancheria / ma che scoperta che sei” mostra già uno dei miei stili di scrittura: il doppio/triplo/quadruplo senso. Portare: consegnare/indossare. Scoperta: senza veli/scoprire qualcosa di nuovo. “Sottobanco” parla di due amanti che si conoscono da sempre (il riferimento al liceo) e arrangiandosi imparano la vita da strada (sottobanco/la stazione) che li porta in un nuovo contesto, per ripartire da zero. È un pezzo autobiografico ma il soggetto non sono io al 100%. Succede spesso. Scrivo come se parlassi di me ma in realtà non è tutto riferito a me. C’è un mondo più vasto là fuori da raccontare. Non sopporto l’egocentrismo assoluto.

È come se avessi congiunto 3 mie ex in una persona sola, usando la faccia dell’ultima.
Per quanto riguarda la musica i miei riferimenti qui erano Harry Nilsson, i primi Strokes e Rowland S. Howard. Già tra di loro non c’entrano un cazzo.

Come sempre sono ispirazioni che rimangono nella mia testa e basta. In molti casi sono ispirazioni di cui mi accorgo a pezzo finito.

“Tu che ne sai”
Questa è una lettera di commiato scritta a qualcuno che si ama o meglio amava. Quel qualcuno che non è super stabile mentalmente ma a cui vuoi un bene dell’anima. Come spesso accade nei miei testi il destinatario è gender neutral.

Inoltre, non c’è passione nelle parole, ma è più una forma di amicizia, in risposta a parole o azioni da cui il soggetto è dovuto difendersi, come un pugile che le prende.

Musicalmente mi piace pensare ad uno stile pop anni ‘70 con qualche sfumatura di samba. So che non c’entra nulla ma mi riporta al pop giapponese e a Bryter Lyter di Nick Drake. Qualcuno dice che ricorda Donovan e George Harrison. Altri i Bluvertigo di Altrove. Tutti enormi comunque. Non lo so. Io faccio musica semplice. Apparentemente…

“Fratello gemma”
“Chi è fratello gemma?” è in assoluto la domanda che ricevo più spesso. È un personaggio immaginario. Il tuo migliore amico. Quello a cui racconti i tuoi incontri amorosi, con chi hai passato la notte precedente (“come sempre diventa pantera”) ma che in fondo non ti interessa che ci sia del sentimento (“non mi importa nulla se non sa ascoltare”) però tu si fratello, fatti sentire; e se ti chiedono da dove viene il tuo accento, tu non spiegare niente.

Gli americani sono ossessionati dagli accenti. “Where is your accent from?” è una domanda ricorrente. Noi immigrati comunque non diciamogli nulla, ok fratello?
È tutto in forma colloquiale -molto da strada-ed il soggetto passa rapidamente dal parlare di lei al parlare con lui.

Stavo in loop con Chet Baker Sings quando ho dato il La (nel vero senso della nota) a questo pezzo. Ma anche il solito John Lennon a cui devo qualsiasi fonte di ispirazione.

“B”
“B” è una canzone scritta in Si (appunto B) ma è anche un omaggio a “Questa è la facciata B” di Domenico Modugno, con quel momento cacofonico che è il bridge.

È uno dei primi pezzi che ho scritto in assoluto. Mi è uscito tutto d’un fiato. Testo e musica.
“Questa è la facciata B” era un pezzo di protesta contro chi ascolta solo il lato A dei singoli di Sanremo. Nel suo piccolo anche “B” lo è, anche se non era voluto.
È una di quelle canzoni che crea opinioni negli ascoltatori.
Alcuni amici musicisti (mantengo la privacy) suggerivano che cambiassi le parole. Altri invece erano follemente innamorati di ogni singola sillaba.
Musicalmente piaceva a tutti i miei amici e collaboratori, ma si, ricordo di aver ottenuto un sacco di critiche per il testo. Io ho continuato per la mia strada pensando che il mio stile uscisse anche dal dire “e invece no!”.
Fondamentalmente credo molto nell’immediatezza dei miei testi e questo brano è il manifesto quasi.

“B” racconta dell’Italia, di come me la ricordavo io, con i suoi difetti e di fare il paraculo non mi andava proprio.

“Aria di primavera”
“A febbraio è già primavera” è un commento climatico. È la riprova che il surriscaldamento globale non è un invenzione.

Febbraio qui a New York solitamente è il mese più freddo ma sta diventando ogni anno sempre meno freddo. Lo scorso febbraio più di una volta stavamo fuori a passare le giornate come se fosse primavera.
Gli “ooh ooh ahh” li ho registrati analogicamente e passati in diretta attraverso effetti. Esistono dalla prima take e li ho voluti tenere così.

In testa avevo l’inizio di “No more I love you’s“ di Annie Lennox come ispirazione per questa traccia + quei synth Cortina ‘80.

“Occhi rari”
È una delle canzoni a cui sono più affezionato. L’ho scritta con la chitarra sempre mentre ascoltavo Chet Baker quando canta. Successivamente l’abbiamo portata in sala prove ed è diventata una canzone fatta e finita.

Quando l’abbiamo pre-prodotta a casa abbiamo voluto dargli un twist più moderno, strutturando il pezzo su synth hardware, facendo diventare le chitarre più un tappeto sonoro.
Smanettavo con il beat in diretta mentre lo registravo… adoro quei piccoli “errori”!
Stessa cosa per le voci di sottofondo; mentre cantavo Tomás giocava con il delay ed il pitch. Quel “bitch” che si sente nel background l’ho detto davvero a Tomás mentre registravamo ed il microfono l’ha catturato.

Per quanto riguarda il testo (anche questo è gender neutral), il soggetto è colpito da una dea nera e credo che non ci sia bisogno di molte altre spiegazioni…

“Goccia rossa”
“Goccia rossa” è uno dei primissimi pezzi scritti in italiano.

Il testo era molto più lungo poi per ragioni di metrica ho dovuto tagliare.
In uno dei tagli diceva “il mio vecchio tuona / l’aria che respiriamo è quella del ‘33” in riferimento alla situazione politica ed economica del nostro paese. I carri allegorici. “Senz’anima lui” è il governatore.

Il titolo è un omaggio alle colonne sonore dei b-movies anni settanta italiani. Rossa come il sangue ma più fumettistica che altro.

“Dannatamente”
Chi mi conosce pensa che sia una canzone autobiografica. Come dicevo prima lo è ma il soggetto non sono io. L’ho scritta immedesimandomi in un’altra persona, un amico.

C’è ovviamente qualcosa di personale nelle parole ma principalmente è la voce di tante esperienze diverse adattate ad una storia d’amore unica, che però, si affievolisce;
racconta la fine di un’amore e quasi lo analizza (“si poteva fare di più”) con l’altra-non più-metà. Le ultime frasi del brano analizzano invece lo stato mentale dell’ex.

Musicalmente volevo che rimandasse la mente ed il cuore ad un pezzo sanremese degli anni ‘60. Canta Nico LaOnda.

“Casco ribelle”
Ricordo che quando scrissi la prima versione di questa traccia, i due amici seduti al tavolo fecero una faccia tipo “nah non ci piace, che merda”.

Io come sempre ho tirato dritto, credendo nelle potenzialità del pezzo. In un paio di giorni entrambi fecero commenti su quanto figo fosse quel pezzo nuovo che mi sentivano suonare dall’altra stanza. Giuro, era la stessa versione, identica.
Qui gran lavoro di arrangiamento e produzione l’ha fatto Luca Di Cataldo a Roma con gli altri del Pom Pom Studio, tanto da farlo diventare il primo singolo, di cui qualcuno possiede il super raro 7”.
Aneddoto che rappresenta al meglio la nostra collaborazione fraterna Roma-New York: io e Luca non riuscivamo a chiudere il ritornello. Ore ed ore di telefonate con le chitarre in mano e memo vocali su whatsapp. Alla fine, stremato ho mandato un cantato a Luca senza musica e lui ci ha costruito la musica per il gran finale. Le registrazioni sono quelle originali cantati senza la musica che ora sentite.
Il testo racconta della mia infanzia in Italia quando con gli amici passavamo i pomeriggi in campagna a fare il giro d’italia a tappe con tanto di maglia rosa rubata a mia madre.

I tour dei cinema solo per limonare senza neanche guardare i film. La mia prima fidanzatina che era più grande di me e le lire che non bastavano mai.

“Meteora”
È un pezzo che è nato live in pochi minuti. Si sente anche la mia bambina Fela che dice “No more singing” hahahahaha.

Nel giro di due ore l’ho chiuso. Nicolas Jaar di sicuro mi ha ispirato, mi ricordo questo. Poi c’è quella chitarra afro-beat che mi gasa.
Potevamo farlo diventare un pezzo dance ma non c’entrava nulla con questo disco. Mi piace che cresce, cresce ed invece di esplodere… finisce e così finisce pure Tutto Bene.