Malinconico ma anche (auto)ironico, a tratti romantico e sempre pronto a strapparci una risata. San Diego torna a farci ballare con il suo secondo album ù (Mattonella Records/Grifo dischi), un’esplosione di synth e sonorità marittime che fanno venire voglia di Mojito al tramonto. Il suo marchio di fabbrica? Un sound pop che non ha paura di osare e sperimentare, sia a livello di atmosfere che di scrittura.

Abbiamo fatto due chiacchiere col cantante, dj, e producer italiano più fresco del momento, in attesa di tornare a cantare insieme a lui appena possibile.

Come è nato ù e in cosa è diverso dal precedente Disco?
Nasce dall’anno scorso, ha avuto una gestazione molto lunga. Le differenze sostanziali con il primo disco sono meno suoni stratificati e portati all’eccesso, e più varietà tra una traccia e l’altra.

Ci racconti la giornata tipo di San Diego? E la giornata di San Diego recluso causa Coronavirus?
La mia giornata tipo nella vita precedente era incentrata solo sulla musica ma dipendeva molto da che periodo e in che luogo dell’Italia fossi, perché ero spesso in giro. Tendenzialmente facevo le ore piccole perché oltre al progetto faccio anche il dj e il direttore artistico. Purtroppo adesso sono fermo come tanti altri, ma comunque non riesco a prendere sonno prima di una certa ora. Però sto scrivendo molto di più e approfondendo cose che prima non mi era minimamente possibile fare, mai.

Qual è la storia di Ondaverde, quinta traccia dell’album?
Ondaverde è nata con un mio amico (Marco Blarzino), un bravissimo musicista e produttore. Un pomeriggio eravamo a casa mia e abbiamo buttato giù qualcosa, in pochissimo tempo avevamo già testo e musica, mancavano il ritornello e un bridge, ma l’idea c’era già. A distanza di un bel po’ di tempo ho ripreso il pezzo e l’ho chiuso definitivamente.

“Credo che se ha ancora senso fare dischi nel 2020 è proprio perché la musica non deve essere propedeutica“, ci spieghi meglio questa tua frase?
Intendo dire che, specialmente nella musica indipendente, non bisogna né affidarsi a uno trascorso storico, né a un concept troppo lungo e invasivo. La fruizione della musica è totalmente cambiata negli ultimi anni e sta cambiando sempre di più, i progetti musicali aumentano di giorno in giorno e ogni pezzo deve avere una storia a sé ed essere isolabile da un contesto.

ù ha delle atmosfere molto estive e marittime, a tratti intrise di quella particolare malinconia alla San Diego. Come sono nati i testi e le sonorità?
L’idea delle sonorità marittime è una mia fissa che ho da sempre, e tre anni fa ho deciso di metterla in pratica facendo partire il tutto. I testi nascono sempre come flusso di coscienza senza un’idea precisa, almeno inizialmente, e spesso mi piace farli “contrastare” per creare più atmosfere all’interno dello stesso pezzo.

Come ti è venuta in mente la genialata di inserire “questa è benzina… io mi do fuoco” in LOL?
Nonostante la malinconia per me sia una costante non mi piace mai prendermi troppo sul serio, e l’idea di alleggerire il tutto con qualcosa di ironico fa parte di me, viene abbastanza naturale.

Se avessi la possibilità di presentare ù ai tuoi fan, senza le restrizioni del momento, che posto sceglieresti per un abbraccione collettivo?
Avrei sicuramente gradito suonarlo all’aperto, d’estate, ma purtroppo dovremo aspettare momenti migliori.