Il talent televisivo è un’indiscutibile piattaforma di scouting. Da lì han preso forma svariati progetti discografici, alcuni lautamente noti al grande pubblico, altri meno “rumorosi” e più vicini alla scena indipendente. Al di là di etichette e pregiudizi, è tempo di aprire le orecchie e farsi incuriosire da coloro che, nonostante un’apparente sconfitta ai tempi del talent, si sono fatti strada e hanno dimostrato di avere talento al di là del talent! Oggi vi presentiamo Sem&Sténn, coppia in arte e nella vita!

Hanno partecipato a XFactor 11 sotto la guida di Manuel Agnelli nella categoria “gruppi”. Assieme a lui, una volta lasciato XFactor, pubblicano il singolo Baby Run e consolidano il proprio repertorio fortemente elettronico, racchiuso nel primo disco, OFFBEAT. Nel corso degli anni non hanno mai smesso di vivere e animare il sottobosco indipendente milanese, rivestendo diversi ruoli artistici e collaborando con Populous, DUILIO, YaMatt e CRLN. Ormai è questione di tempo e arriverà anche un nuovo disco.

Ciao Sem. Ciao Sténn. Parto in quarta, direttamente dalla undicesima edizione di XFactor, dove siete stati i concorrenti eccentrici di un team di eccentrici: la categoria Gruppi di quell’anno vi vedeva affiancati da Maneskin, ROS e il giudice Manuel Agnelli.

Come vi siete trovati sotto la guida di Agnelli e nel contesto di XFactor?

Sem: Con Manuel abbiamo scoperto un sacco di punti in comune. E’ molto legato alla new wave anni Ottanta, che era il sound che stavamo approfondendo in quel periodo e che è confluito nel primo disco, “OFFBEAT”.

Più genericamente, è stata una palestra per mettere in scena qualcosa di ben studiato; abbiamo perfezionato tanto la messa in scena.

Sténn: Con i compagni di squadra la rivalità non si è sentita poi tanto. C’era coesione e questo ci ha aiutati a non viverla come una competizione. Abbiamo cercato di prendere il meglio da tutti i professionisti con cui abbiamo avuto modo di lavorare in quel contesto.

Da spettatore, Agnelli è sembrato molto orgoglioso di avervi scelto in barba al gusto mainstream ed è sembrato esserci una bella intesa nel poter sperimentare, trasgredire e divertirsi assieme a voi. Del resto, avete portato su quel palco i Cure, Marilyn Manson e Ariana Grande.

In che modo vi ha arricchito quell’esperienza?

Sem: A livello artistico, abbiamo imparato a fare le cover. E ci abbiamo preso gusto! Ora, quando riarrangiamo i pezzi, cerchiamo di stravolgerli sempre per avvicinarli il più possibile a noi.

Sténn: E abbiamo imparato a lavorare sotto pressione. Ogni settimana dovevi portare a casa un arrangiamento.

Sem: Anche in 24 ore…

Sténn: Eh sì, anche in 24 ore, perché la messa in scena doveva essere preparata e pronta per i live. Quindi abbiamo imparato ad arrangiare i pezzi molto rapidamente e ad avere spunti geniali in pochissimo tempo.

Voi in realtà siete un duo artistico dal 2016; dal 2011 siete una coppia a livello sentimentale e i primi contatti tra di voi, avvenuti virtualmente in un blog di musica, risalgono al 2007.

Chi erano i Sem&Stènn degli inizi?

Sem: Agli inizi eravamo due bambini che amavano tantissimo la musica, ma che si vedevano più sotto il palco che sopra. Poi, quando ci siamo conosciuti, abbiamo iniziato a condividere sogni, segreti e passioni ed è emersa la voglia di mettersi in gioco in maniera diversa.

Sténn: Eravamo un po’ più sognatori e naif. Non eravamo perfettamente consci del mondo in cui ci stavamo inserendo o degli ostacoli contro i quali saremmo andati a sbattere. Ed è bello ricordarci così; funge da molla motivazionale.

Sono passati quattro anni da allora. Chi sono Sem&Sténn oggi?

Sem: Mah, in realtà non siamo tanto diversi da allora, almeno a livello di attitude. Persiste la massiccia dose di coraggio nel voler fare le nostre cose, indipendentemente da quello che tira. E sperimentiamo molto di più, questo sì, anche perché inevitabilmente siamo cresciuti e siamo più consapevoli delle dinamiche di questo business.

Sténn: Diciamo che una volta che vieni a conoscenza delle regole, ti viene ancora più voglia di trasgredirle, no? Credo che sia un po’ lo spirito che abbiamo cercato di imprimere anche al nuovo disco.

Beh, non possono non chiedervi qualche dettaglio in più! Cosa potete anticiparci del prossimo album?

Sem: Ci stiamo lavorando su. E’ un progetto in italiano che è partito con “K.O.” quasi un annetto fa – un anno di “K.O.” – nonché un concept album anticipato da molti singoli, scelta strategica per dare il giusto focus a ciascun pezzo.

Sténn: Ed è stata anche un’occasione per attingere da mondi diversi, ma sempre in chiave pop, che resta il nostro genere di definizione. Non vediamo l’ora di condividerlo, ora che sta finalmente trovando la sua forma finale.

Sem: Non manca molto.

Correggetemi se sbaglio, ma uno degli elementi imprescindibili della vostra arte è l’omo-erotismo; aperto, sfacciato, celebrato. Non a caso, siete tra i pochi artisti italiani che potrebbero rappresentare una latente scena musicale queer italiana, laddove all’estero gli artisti queer iniziano a essere in numero più consistente.

Come descrivereste la scena queer italiana e quanto bisogno c’è (o non c’è) di vederla rappresentata?

Sem: Hai detto tutto giustissimo. C’è bisogno di creare una scena queer che in Italia non si è ancora ben definita. All’estero si hanno Sam Smith, Years&Years e Troye Sivan che stanno facendo tantissimo. In Italia continuiamo a sentirci piuttosto soli, ma ci sono un paio di realtà che stanno emergendo e siamo interessati a creare un contatto con loro.

Sténn: E’ una scena che esiste, anche in Italia, ma è ancora molto inconsapevole di essere parte di una community, che è la direzione in cui noi vogliamo andare. Stando assieme si è molto più forti che da soli.

Sem: Anche perché il pubblico italiano è ancora ancorato a dei forti pregiudizi sulla scena queer, legata all’idea di omosessualità.

Sténn: E c’è del lavoro da fare anche sul percepito dell’artista queer nella musica. Non va sottovalutato come i coming out nella nostra industria siano molto rari. Anche se è un ambiente artistico e lo si crede aperto, non è così. Insomma, abbiamo l’obiettivo di cambiare il mondo e ci stiamo lavorando!

Cavalvando l’onda di quanto appena detto, il 30 aprile avete buttato fuori un nuovo pezzo, “18 anni“. Disattivando il parental control, vi cito: “La prendo nel culo, ma non in quel modo / Non come lo apprezzerei / Avevo appena fatto 18 anni / Pensavo ai sogni o a come realizzarli / Oggi non so come finirà / Parassita oppure superstar“. Di cosa ci state cantando?

Sténn: Abbiamo usato una metafora sessuale per raccontare un problema generazionale. La nostra generazione è cresciuta con la favola del sogno americano, sentendosi in grado di poter realizzare qualsiasi cosa nel proprio futuro. Poi, affacciati all’età adulta, abbiamo capito quanto non fosse così. Anzi, il percorso per concretizzare obiettivi ambiziosi si è dimostrato tortuoso e per niente semplice. Ecco perché il quesito finale: diverrò una star o un parassita della società?

Sarà un peccato non poterlo cantare in un luogo in cui voi eravate di casa: l’Ohibò. Immagino abbiate letto della sua necessaria chiusura a seguito dello stop forzato delle attività durante il lockdown.

Palchi come quello dell’Ohibò sono una ricchezza rara. E’ il tempo di allarmarsi?

Sem: Quando ci è arrivata la notizia da Simone (ndr. Simone Castello, direttore artistico dell’Ohibò) ho praticamente pianto. E’ stato un colpo al cuore. Noi lì abbiamo fatto di tutto.

Il problema è che il panorama underground-indipendente non gode di tanti spazi; o c’è il Saul, o c’è il Fabrique, o c’è l’angolo del bar. Mancano dei palchi per chi fa questa musica e l’Ohibò era un manifesto di questa grande corrente artistica.

Sténn: Tra l’altro la sua chiusura è un avvenimento eloquente di quello che si è fatto per l’arte in questo periodo, cioè assolutamente niente. Sia per gli artisti, sia per gli altri operatori. Era prevedibile saremmo arrivati a delle chiusure, vista la situazione in cui siamo stati posti, e mi auguro sia un’occasione per ridefinire quello che è il concetto di artista e il fatto che fare musica sia un lavoro, non un hobby o una passione senza scopo.

Fa ridere pensare di essere stati considerati il fanalino di coda, come “persone che ci fanno tanto divertire”. Tragicomico. Avrei evitato.

In compenso, per potersi svagare un po’, le discoteche hanno avuto il via libera a riaprire, anche se con le dovute limitazioni.

Vi state preparando a tornare “con un drink in mano / al centro della pista” (cit. Ho pianto in discoteca) e a fare un po’ di casino dal vivo?

Sténn: Nel periodo di quarantena siamo stati molto prudenti e anche impauriti, quindi dubito saremo i primi frequentatori delle discoteche, però cercheremo di organizzare qualcosa il prima possibile.

Sem: Siamo dei bad boys, ma la sicurezza viene prima di tutto.