Synth Pop, New wave e sfumature electro-dark, accostamenti importanti a Bowie e Depeche Mode (solo per citarne alcuni), tutte etichette che vanno strette a “The familiar stranger”, album d’esordio di Udde (uscito il 31 marzo scorso) musicista polistrumentista sardo, responsabile unico di questo sua creatura, nata dopo cambiamenti drastici, dopo aver ricominciato tutto da capo, spinto da nuova linfa creativa.

Undici pezzi che definiamo artisticamente coraggiosi ma potenti, unici, da ascoltare e comprendere uno ad uno, interamente composti, registrati e mixati in solitaria. Di questa condizione necessaria, del concetto di pop attribuito al disco, di origini, dello stato di salute della scena italiana, abbiamo parlato con Udde qualche giorno fa…

Partiamo da “The Familiar Stranger”. Ha un significato ben preciso per te? Come lo tradurresti.

Ha oggettivamente un significato ben preciso: i Familar Strangers sono persone che non conosciamo direttamente, ma che incontriamo spesso in determinati momenti. Azzardando una traduzione libera, si tratta di persone che conosciamo di vista. Sono persone di cui fondamentalmente non sappiamo nulla, ma con cui costruiamo un rapporto “visivo”. Ho scelto questo concetto come titolo del disco, e attorno a questo ho scritto i testi, che trattano vicende o aspetti che ho cucito su alcune persone che conosco di vista.

Un disco Pop? O c’è molto di più come credo.

Per me è un disco estremamente pop. Anzi, è il livello massimo di pop a cui posso ambire. Se avessi una webzine metterei il disco al primo posto nella classifica degli “smaccatamente pop del 2017”. Il fatto è che quando mi chiedono che genere faccio, rispondere “pop” mi aiuta perché è molto facile da ricordare, è disimpegnativo, e sintetico. Su un piano più tecnico posso dire che la forma canzone (tralasciando solo due pezzi, Neighbour e The Bridge Carousel), gli arrangiamenti, il suono che riprende certe produzioni degli ‘80, sono caratteristiche pop. Tutte queste cose sono il “vestito” delle canzoni. Il contenuto è semplicemente il mio modo di mettere le note una sull’altra ed in successione. Certo non rispetto le scale, ma i giri di accordi li lascio volentieri a quelli che suonano la chitarrina durante le scampagnate di Pasquetta.

Ho notato che il tuo facebook segnava uno stop a fine 2012 dopo l’Ep FOG per riprendere vita solo di recente. Parlaci di questa pausa musicale e di com’è nato questo album in questo lungo periodo.

Questo dimostra che facebook non è la verità. Dal 2012 al 2017 avevo all’attivo solo un ep di tre canzoni, ed avendo 50 followers postare selfie su facebook sarebbe stato un po’ singolare. In verità non è stata una pausa, al contrario, probabilmente è stato il periodo musicalmente più intenso per me. Nel 2012 ho scritto un disco, e mi sono cimentato in un’auto produzione che alla fine si è rivelata fallimentare. Mi serviva Bob Ezrin. Ho perso tre anni registrando quel disco, ma è stata una palestra. I frutti sono ciò che si sente in The Familiar Stranger, ossia il contrario assoluto di quello che doveva/voleva essere il disco precedente. Nel 2015 ho buttato tutto, ho scritto nuovi pezzi, mi sono auto imposto la forma canzone, la durata massima delle canzoni stesse, ridurre all’indispensabile chitarre e basso, una drum machine che rimpiazzasse la batteria acustica (o comunque assenza di campioni di batteria acustica), e lavorare di sottrazione sul suono. Ed essere dannatamente catchy. A volte rimanevo disgustato da quanto fossero catchy certe soluzioni, e quindi realizzavo che ero sulla strada giusta. Le canzoni dell’album sono nate in due settimane dell’estate del 2015, nell’autunno del 2016 era tutto registrato e pronto.

Familiar Stranger è composto, registrato e mixato da UDDE. E’ una forma di solitudine musicale? O semplicemente la volontà di avere il controllo totale e la responsabilità nel bene e nel male della propria creatura?

Hai fatto centro due volte. Avere il controllo totale è sicuramente la cosa più importante, se devo essere indipendente lo voglio essere davvero. Nessuno da consigli, nessun accordo su orari, e nessuno mette bocca. Nel bene e nel male. Non nego che ogni tanto stare da solo sia anche appagante.

Il videoclip del tuo primo singolo ONE HEAVEN mi piace un sacco e contiene un ringraziamento speciale a Michael Collins (the loneliest). Spiegami un po’ questa dedica.

Sono contento che ti piaccia. Sulla dedica a Collins: Dei tre astronauti dell’Apollo 11 si cita sempre Armstrong. Buzz Aldrin fu il secondo a mettere i piedi sulla luna, ma i secondi non interessano a nessuno. Michael Collins, invece, non ha proprio messo piede sulla luna, è rimasto nel CSM. Sembrerebbe il più sfigato dei tre, invece è una delle figure più romantiche del ‘900: mentre gli altri due astronauti passeggiavano e mettevano la bandierina, Collins continuava il suo viaggio orbitando attorno alla luna, completamente solo (a differenza degli altri due), ad una distanza di 400.000 chilometri circa dal resto dell’umanità, e senza alcun contatto radio per ore. E’ stato l’uomo più solo dell’universo e, dunque, quello che è arrivato più lontano di tutti.

Sardegna (terra di origine) e musica. Cosa ti porti dentro nei tuoi lavori?

Musicalmente nulla. Ma mi sembra brutto rispondere così sinteticamente, dunque aggiungo che nei testi, invece, mi porto dietro tante cose, consciamente ed inconsciamente. Anche perché nonostante io lavori 9 mesi su 12 fuori dalla Sardegna, casa mia comunque è lì, non c’è niente da fare. Io sto 9 mesi con la valigia aperta accanto al letto, non metto niente negli armadi. Sono sempre pronto a “tornare” a casa.

Prodotti Mainstream, Cantautorato, ma anche diverse proposte interessanti fuori dal coro. Come vedi la situazione musicale italiana oggi? Ti trovi a tuo agio?

La situazione italiana oggi sembra esplosa, si parla di musica rinata, di musica indipendente che raggiunge cifre importanti, ma io non ho nessun ruolo all’interno di questa dimensione. Il mainstream non mi da fastidio come concetto. Oggi siamo liberi di ascoltare quello che vogliamo quando vogliamo dove vogliamo. Ascoltare mainstream è dunque una scelta, se non ti piace non lo ascolti. Se ti lamenti vuol dire che non ti piace ma lo ascolti, e mi chiedo come sia possibile. Escludo la forzatura del sentire la musica quando sei al supermercato, io intendo come “ascolto” l’atto di dedicare del tempo esclusivamente alla musica, senza fare nulla nel frattempo. Sono molto distante anche dal cantautorato, anche perché queste chitarrine dopo un po’ sanno di catechismo. Devo dedurre che io possa rientrare nella proposta fuori dal coro, e qui non si sta malissimo. Certo non sarebbe male allontanarmi anche dall’insieme dei fuori dal coro.

Un collega a cui invidiare qualcosa? O che ti ha semplicemente colpito più di altri.

Questa è una domanda difficilissima. Se rispondessi con un nome tipo Robert Wyatt significherebbe che mi considero suo collega, e suonerebbe come un oltraggio. Il problema è che se devo restringere il perimetro, scegliere un collega entro i confini italiani, magari anche più o meno coetaneo, ovviamente non c’è nessuno che io invidi. IOSONOUNCANE mi ha colpito più degli altri, semplicemente perché ha fatto un bel disco.

UDDE, prima di salutarci, una domanda che vorresti ti fosse fatta ma che (chissà per quale motivo) non ti ancora posto nessuno?

Questa domanda è più difficile della precedente.
Udde, ultimo desiderio prima di morire?

Datti una risposta!

3 etti di spaghetti con vongole e cozze.
Se devo morire subito dopo pranzo, fai mezzo chilo.