Asteria, pseudonimo di Anita Ferrari, è una cantautrice bergamasca ventiduenne, che tra vibes electro-pop e versi malinconici, ha appena pubblicato il suo secondo singolo DOMOPAK per Double Trouble Club/Island Records/Universal Music Italia, dando voce alle problematiche della generazione z. Già in orbita tra le playlist Alta Rotazione e Migliori Novità di Spotify, Apple Music, Amazon Music, oltre conquistare la copertina di Caleido, Asteria scrive e produce brani per curare la sua anima e superare il senso di inadeguatezza e di spaesamento, spesso emblema della sua generazione. Cerca di dar voce all’ossimoro dello scenario caotico e liquido della nostra società moderna, nel tentativo di trovare un punto di riferimento, un’ancora di salvezza, nel mare in tempesta della quotidianità.

Nelle sue canzoni c’è il cuore di chi rivendica il diritto di vivere la propria emotività, di poter sbagliare, soffrire e ricominciare senza nascondere le proprie ferite. Asteria riempie le ferite con una leggera e preziosa colata di oro. Riempie di melodia la sensazione di vuoto, impreziosendo così la fragilità e creando delle opere d’arte, proprio come nella tecnica del Kinsugi. Come nel mito che richiama il suo nome, è resiliente in un mare in tempesta in cui la musica è un porto sicuro, una luce che non si spegne. Noi pensiamo che abbia tutte le carte in regola per essere il nuovo talento della scena urban pop italiana, e per questo dovreste ascoltarla.

Ciao Asteria! Dato che abbiamo la fortuna di conoscerti già all’inizio della tua carriera, vogliamo raccontare ai nostri lettori la tua storia. Com’è nata la tua passione per la musica?

La passione per la musica credo sia nata con me. Ascolto musica da quando ne ho ricordo, dai tempi in cui rubavo il walkman a mia sorella con all’interno l’album del Festivalbar 2005. Ho iniziato a suonare la chitarra in quarta elementare grazie alla passione sfrenata per il gioco Guitar Hero e da lì non ho mai smesso. A 13 anni ho iniziato a scrivere perché sentivo il bisogno di esprimermi, poi ho aperto un canale YouTube in cui mettevo delle cover chitarra e voce o piano e voce e così è iniziato tutto.

Dici che la musica per te è uno strumento per fuggire da una realtà che non ti piace. La vedi più come un mezzo che ti permette di evadere o come un luogo in cui ti rifugi per stare bene?

Vedo la musica come una terapia per l’anima, è in grado di trasformare un luogo in cui non amo stare in un locus amoenus. Aver scoperto la musica è sia una fortuna che un ostacolo perché diventa complicato imparare a sostare in un luogo quando si conosce una via di fuga.

Dato che lo hai scelto come nome d’arte, ci racconti perché la storia del mito di Asteria è per te così importante? Come hai scoperto questo mito?

La scoperta del mito è stata quasi casuale, diciamo che la scelta del nome d’arte viene più dall’etimologia del nome che, poi, mi ha riportata a scoprirne la storia. Il nome Asteria si fonda sul termine greco “Astra”, stella, che restituisce un’idea di luminosità molto forte, un punto di riferimento nella notte. Tanto più la notte è buia, tanto più si vedono le stelle brillare. Questo concetto mi piace molto e ci ho creato la narrazione della mia arte. Mi piace pensare di stare accanto alle persone in un momento buio come la notte, in cuffia o in auto, accompagnando le loro sensazioni e facendo luce sulle loro emozioni elicitandole o raccontandole. Anche nel mito si evince questo aspetto di luminosità, ma come fattore secondario. La figura di Asteria scappa dalle molestie di Zeus, come spesso capita nei miti greci, e si trasforma in quaglia (ortyx), si getta nel Mar Egeo e si trasforma nell’isola di Ortigia. Qui la sorella di Asteria dà alla luce Apollo che sprigiona una luce immensa ed illumina tutta l’isola.

Prima della pubblicazione dei tuoi brani, hai vinto il Premio Bindi e il Premio Nuovo IMAIE e sei stata una dei finalisti del Premio dei Premi del MEI a Faenza. Ti aspettavi di raccogliere così tanti consensi già al tuo esordio?

Può sembrare banale dirlo, ma no, non me lo aspettavo affatto. La vittoria del Premio Bindi mi ha effettivamente dato una spinta in più nel credere che questa potesse diventare la mia professione oltre a rimanere la mia più grande passione. Ho incontrato, prima della pubblicazione di ANCORA, persone che hanno saputo abbracciare il mio progetto e credo sia proprio per questo che sta funzionando, o quantomeno abbia avuto un inizio impattante. Ho imparato che il lavoro di un team organizzato e armonico fa davvero la differenza.

Di preciso, c’è stato un evento o un periodo che ha ispirato il tuo nuovo brano DOMOPAK?

Sì, in tutte le mie canzoni, pubblicate e non, ci sono aspetti della mia vita di cui ho bisogno di parlare. In particolare, quando ho scritto il ritornello di DOMOPAK stavo vivendo un periodo molto duro della mia vita, mi stavo rendendo conto di aver a che fare con qualcosa di più grande di me che mi stava mangiando e lentamente togliendo ogni forza vitale compreso il più banale, ma fondamentale motore: la positività. In una di quelle giornate nordiche calde ma umide ho alzato gli occhi al cielo cercando un po’ d’aria, ma non sono riuscita a trovarla, il cielo sembrava davvero di plastica. In quel momento ho pensato soltanto che se non avessi fatto qualcosa per risolvere il mio malessere mi sarei sentita ingabbiata per tutta la vita, così è nata DOMOPAK.

 

C’è un filo rosso che collega ANCORA e DOMOPAK oppure sono due progetti indipendenti l’uno dall’altro?

Il filo rosso credo di essere io. Ho scritto questi due brani praticamente nello stesso periodo, in un periodo molto doloroso in cui ho accettato per la prima volta davvero la solitudine e ho iniziato ad accettare delle consapevolezze che iniziavano a non lasciarmi via di fuga. In ANCORA ci sono temi più riflessivi, DOMOPAK invece non lascia tempo alla riflessione è un urlo di pancia e, forse anche per questo, arriva prima all’ascoltatore e risulta più diretta.

Sappiamo che continuerai questo percorso e che stai quindi preparando il tuo primo progetto discografico. Ci dai qualche anticipazione sui temi che affronterai?

I temi sono sicuramente legati ad attimi catturati dalla vita quotidiana, riflessioni legate alla natura e alla vita da città, all’amore e agli impulsi. Il progetto che ho in mente è quello di portare la mia quotidianità e trasformarla in arte facendo luce sugli aspetti che sono meno immediati, ma che possono rendere l’idea come potrebbe fare una fotografia.

Se c’è, a quale artista contemporaneo ti ispiri per la tua musica?

Diciamo che tra tutti gli artisti che ascolto sicuramente quella da cui traggo più ispirazione per quanto riguarda il sound è Tove Lo, con le sue note malinconiche ma un mix perfetto di pop ed elettronica. Per quanto riguarda il modo di affrontare i temi che scelgo mi ispiro molto ad Ernia che a livello lirico è il mio artista italiano preferito.

La tua avventura con la musica sembra promettere proprio bene, cosa ti aspetti dai prossimi mesi?

Dai prossimi mesi mi aspetto di lavorare a livello tecnico sulla performance, di riuscire a collaborare con artisti più grandi di me per imparare questo mestiere da chi lo fa da più tempo e che può regalarmi consigli preziosi. Mi aspetto anche di fare tanti concerti perché non vedo l’ora di sentire l’energia del pubblico davanti a me.

Agnese Lucia Ialuna

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