Di cuori spezzati, di quartieri romani, di stagioni sospese in una placida attesa e di ricordi, tanti, vividi, è fatto Figurati l’amore (Maciste Dischi/Polydor), disco d’esordio di Mox, nome d’arte di Marco Santoro. Siciliano di nascita, ma romano d’adozione, questo musicista classe 1986 ha scritto l’album italiano impossibile da incasellare nei generi che “vanno” oggi: non è it pop, non è indie, non sa di Gazzelle e nemmeno di Carl Brave, e, aggiungiamo, meno male. Quello che, invece, non gli manca è la cura, la dedizione, le rifiniture, immaginiamo, lunghe e amorevoli, che si sentono nelle liriche, che ci portano a passeggio tra paesaggi urbani e istantanee di estati passate, e si percepiscono nei suoni, vintage sì, ma senza essere polverosi.

Mox, da dove nasce la tua indole musicale un po’ retrò?
Da un insegnante delle scuole medie che mi fece scoprire De Andrè. Fu un colpo di fulmine che mi salvò da ascolti precedenti davvero imbarazzanti. Sono stato fortunato: trovare un professore capace di leggere la sensibilità di un alunno e indirizzarlo verso il suo percorso è qualcosa di speciale.

Sarai anche di indole vintage, ma hai l’occhio ben vigile sul web, o no?
Sì, una delle cose di cui proprio non posso fare a meno è leggere tutti i commenti ai miei video su YouTube. Mi diverte, è un piacere per me pensare che qualcuno abbia voluto spendere anche solo pochi secondi per dire la sua sul mio lavoro.

E quando incappi negli haters?
Ma i commenti distruttivi sono i più divertenti!

Dimmene uno.
“Ecco, è arrivato er poeta”. Per il mio aspetto, invece, qualcuno mi ha anche paragonato a Shaggy di Scooby-Doo (ride).

Com’è cambiato il tuo approccio alla musica, dal far parte di una band all’essere un artista solista?
Avevo una band che si chiamava Jonny Blitz che è stata ed è tutt’ora la mia famiglia. I mio approccio in realtà non è cambiato, perché è nato con loro: è un imprinting, sono un musicista grazie a loro ed è con loro che mi sono deciso a smettere con le cover e mettermi a fare musica originale. Quindi li ringrazio e li ringrazierò sempre.

Nel disco c’è tanta Roma: che rapporto hai con la tua città adottiva?
Il rapporto con Roma è come quello con la mamma: viscerale ma complicato. Roma è mamma nel bene e nel male.

Un tuo pezzo si intitola San Lorenzo, quartiere al centro della cronaca e del dibattito pubblico: che effetto ti fa tutto ciò?
Ho vissuto a San Lorenzo per due anni e ci ho lavorato per sei, ed è uno dei luoghi più belli di Roma, perché è rimasto vero, con il mercato di giorno, gli anziani seduti per strada che chiacchierano, i locali di musica live la sera. Si respira la borgata, lì. Certo, negli ultimi anni (ma vale per tutta Roma), ci sono stati più disordini, legati allo spaccio, al chiasso, ma di base credo rimanga un gioiello. Ci si stanno accanendo in modo eccessivo.

Quali sono i sogni e le speranze che hai per questo disco?
Chiaramente che questo progetto vada bene, nel miglior modo possibile. Mi piacerebbe suonare Figurati l’amore in ogni città italiana, anche perché stiamo lavorando duramente al live che sarà molto suonato, molto ricco. Sogno di portarlo a Catania, che è la città dove sono nato ed in 10 anni che faccio musica non ci sono ancora mai andato a suonare. Spero davvero che stavolta accada.

Senti, ma l’amore del titolo come sta messo oggi?
A pezzi, perché in questo disco lo distruggo in tutte le sue fasi, dall’innamoramento ai ricordi. Che, guarda un po’, a mia parte preferita delle relazioni sentimentali.