Sonorità ed atmosfere che sembrano quasi “marchiate” dal Jazz, dal Funky, dalla Disco Music, con citazioni e chiari riferimenti alla musica dance più cool degli ultimi decenni (dagli Anni ‘70 ai 2000), riferimenti che risultano però legati ad una sperimentazione virtuosa ma mai ridondante o fine a se stessa e che vede, nell’efficacia di alcuni groove e nella ricerca accurata dei suoni e dei “rumori” di sottofondo, nelle atmosfere evocative che riesce a creare, il suo elemento portante.

In Linear Burns, l’ultimo lavoro in studio di D.In.Ge.Cc.O., l’impressione è quella di ascoltare dei nuovi grandi classici della musica elettronica che prendono la forma di vere e proprie “canzoni”, 12 per l’esattezza, che il compositore e artista – coltiva la passione per la letteratura, per la tecnologia e svolge una intesa attività anche come regista e video maker di videoclip che fa uscire sul suo canale YouTube, con lo scopo di trattare temi a contenuto sociale e culturale – ci racconta traccia dopo traccia. Ogni track è capace di avere una propria personalità e di vivere di vita propria. In questo percorso creativo il vintage ed il futuristico si fondono, si mescolano, si scontrano, tanto da trasformarsi in qualcosa di completamente diverso, di completamente innovativo.

Jazzy trasforming Nazi
Il brano inizia con un riff che sembra la sigla di un videogioco anni 80 e ci proietta in una sala giochi di quei tempi per poi lasciarsi subito andare ad un ritmo scandito da un intro di fiati che sembrano venuti da un altro pianeta e ad un’atmosfera decisamente jazzy. Prende poi corpo una giro di basso che detta le linee melodiche in un susseguirsi armonico intervallato da ritmiche sincopate, a loro volta incastrate con campionamenti di grida di gente che si diverte, che balla, che sorride. Il suono di un sax rarefatto si accavalla ad arrangiamenti di sintetizzatori vintage e contemporanei per poi, sul finale, lasciare il posto ad un arpeggio di pianoforte che ci trasporta in una sognante atmosfera e ci lascia, sul finale, in un lento sfumato, come se fosse celebrativo della chiusura di un locale, alle prime luci dell’alba, in cui si sono appena consumate storie di vita vera e di emozioni uniche. Nel trambusto di una festa può nascere un’atmosfera magica che solo la musica può creare. Il sax, il basso, i sinth, le grida della gente, il ritmo, il funky, il groove, una miscela esplosiva che ti entra dentro, può sconvolgerti l’anima, ti trasforma… e se ti fai coinvolgere può davvero cambiarti l’esistenza. Può davvero accadere di assistere alla magia di come, una sera, grazie alla musica, potresti vedere che anche un nazista, grazie alla musica Jazz, può trasformarsi.

Lovely crooked streets
Una serie di accordi di sintetizzatori e fiati si rincorrono, insieme ad un concatenarsi di strumenti a fiato acustici e sintetici, in un susseguirsi ritmico che, nel corso del brano, prende sempre più forma acquistando potenza e profondità.
Tra trip pop e break beat, il brano si sviluppa in un susseguirsi di stop and go. Sembra proprio di camminare per quelle strade tutte sgangherate, nei vicoli delle città antiche, nelle periferie delle metropoli, all’ombra di Cattedrali e palazzi medioevali che ti spingono sempre più a curiosare nei loro anfratti sino a che riescono a prenderti l’anima a catturare la tua essenza. Ti inerpichi su gradini sconnessi, in labirinti urbani d’altri tempi ma senza paura di perderti. Assapori il calore della gente del posto, i sapori della cucina fatta in strada, la storia di luoghi che hanno visto, negli anni, nei secoli, consumarsi amori e tradimenti, passioni e vite intere. Ed ogni volta ti sembra di esserci già stato ed è un continuo fermarsi e ripartire come seguendo un pifferaio magico che ti conduce con il suono dolce del suo flauto, che prende corpo nell’ultima parte del brano, lungo quelle amabili strade sgangherate.

Much more funky than bacon eggs
Il brano inizia con un campionamento filtrato da effetti ed echi per poi accavallarsi ad una base funky house ed ad un black speaking che ne scandisce ritmica e tempo. L’entrata della linea di basso, decisa, carica il groove in un crescendo dalle atmosfere decisamente funky sino a che tutto si ferma, quasi come se si fosse alzata la puntina su un disco di vinile, all’improvviso. La ripartenza è dominata da un giro di accordi su un sintetizzatore vintage che riscalda subito l’atmosfera sviluppandosi per tutto il brano ed entrando subito in testa, dando vita ad un groove che ti spinge, inesorabilmente, a muoverti e a ballare. L’entrata dei bongas fa il resto e proietta l’ascoltatore in una atmosfera carica di energia e di black music. La musica ideale per iniziare la giornata. E’ vero che svegliarsi al mattino e fare una bella colazione è tra le cose più belle della vita. Ma svegliarsi al mattino ed iniziare la giornata sentendosi funky, con la carica del ritmo che ti entra nelle ossa e la cassa elettronica che ti fa muovere il culo e poi…. Farsi trasportare da un groove così carico di energia …ti fa iniziare la giornata che ti senti un Dio. Più funky e meno uova al bacon per svegliarsi a New York come a Roma, con una pettinatura afro in testa e tanta voglia di vivere.

gloryduMM
Il brano si apre con un assolo di sinth dal suono caldo ma deciso che si sviluppa in un riff capace di ipnotizzare subito l’ascoltatore. Poi salgono una serie di campionamenti ed una base inizialmente soft ma che nel corso del brano si fa sempre più incisiva e carica di energia sino a scoppiare. In questo pezzo l’elettronica si fonde con la world music, tra musica haitiana, ritmiche cubane ed atmosfere e sonorità tipiche del folklore Portoricano. Il tutto in un cocktail condito con una buona dose di musica house-garage ed electro-house. Una miscela esplosiva, un crescendo di emozioni e vitalità, dal primo sorso delizioso, all’ultimo cocktail strabordante di sapori. Come fosse un rito di glorificazione alla frenesia della vita.

Pan’s call (but i love technology)
Un tappeto elettronico si confonde con un flauto e da inizio ad uno dei brani più eclettici dell’intero disco. Un assolo di sinth elettronico prende poi corpo. Sembra volteggiare in un sali e scendi di tonalità e timbrica. Poi si ricongiunge con la dolce melodia del flauto che ci accompagna in un’atmosfera sognante sino all’apice del pathos del brano lasciando spazio, improvvisamente, ad una base sintetica, decisa ed invadente con un beat energico sporcato da campionamenti e suggestive battute in levare. Il flauto continua a riconcorrere questa evoluzione ritmica che sul finale esplode in una sinfonia celebrativa. E’ la metafora dell’incontro tra natura e tecnologia.  La natura, così vituperata, lancia il suo richiamo attraverso il flauto di Pan, Dio delle selve. Emerge e si confonde tra i cupi suoni della città sino a spiccare e fare sentire chiaro e forte il suo ipnotico richiamo. Un richiamo ad una vita più normale, lontana dal cemento e dalle macchine, dalla routine e dalla competizione tra gli uomini, un richiamo bucolico, che sembra invitarci ad abbondonare tutto e spingerci ad abbracciare una vita diversa, una vita lontana, come quella dell’eroe di Into the Wild… Ma io amo la tecnologia la capacità dell’uomo di poter governare il mondo terreno e sogno un mondo di armonia tra la tecnica e la natura, dove la tecnica è al servizio della natura e non viceversa.

Chicago
Rumori della metropoli e di rimbalsi metallici introducono il brano. Poi entra potente un sinth metropolitano ed una ritmica sincopata che insieme ad una linea di basso coinvolgente, creano uno dei groove più potenti dell’intero LP. E’ la rappresentazione della Chicago del presente, con le sue strade veloci, con la sua iconografica rappresentazione di quella che viene definita la unica vera metropoli americana. Chicago, la città di Frankie Knuckles, della Traxx Records dove la house music ha avuto inizio. La chicago delle prime fabbriche, del movimento operaio, icona dell’occidente e del sistema capitalistico, dove tutto è cominciato. La Chicago delle contraddizioni, la Chicago dell’ordine e della pulizia e dell’immondizia nelle periferie; la Chicago dei musei e dei fuochi d’artificio sul lago Michigan. Un brano visionario che ci immerge nel fascino della Chicago del presente, del passato e del futuro.

Just one drink to join me to you
Si sente un campanello suonare e poi una porta che si apre, e’ l’invito ad una festa. Si sentono già gli altri invitati parlare e scherzare in sottofondo. Poi qualcuno che si prepara accuratamente un drink, con tanto di ghiaccio e frutta frullata. Questa l’introduzione di questo pezzo che si caratterizza per essere una vera e propria ballata elettronica, malinconica e piena di vita al tempo stesso. Il campionamento di voci femminili attraversa tutto il brano e conferisce al pezzo un’atmosfera decisamente ambient. Poi entra prepotentemente ma delicatamente un dolcissimo flauto, un po’ sintetico ed un po’ acustico, che la fa da padrone in un crescendo di ritmiche che seguono un andamento melodico e assolutamente inusuale. E’ la rappresentazione di una serata tra amici o colleghi, in un appartamento privato magari o in un locale esclusivo. Nel gioco scontato di una serata borghese, ricca di convenevoli, una serata tipica della società occidentale, dove ognuno deve sorridere ed essere raggiante, dove deve presentarsi con una maschera e lanciarsi in conversazioni banali per risultare interessante e convincere i presenti, e convincere se stesso, di vivere la vita più bella del mondo. Un gioco di seduzioni, sempre uguale a se stesso, ammiccamenti di sguardi che nascondono una noia esistenziale inconfessata, dove nessuno è mai sincero e dove la falsità regna sovrana ed è tutto apparenza… dove un drink in più è necessario per darsi la forza di vivere la farsa a cui ci si abbandona. Comunque, inevitabilmente, il richiamo della seduzione di una vita sintetica, ti avvolge e ti culla nella dolce decadenza dell’occidente.

Foreign Doors
Il brano parte subito con una giro di basso tra i più efficaci e coinvolgenti dell’LP. Una base in levare, potente, arricchisce il groove che poi si evolve in arrangiamenti di sinth vintage che ci riportano alle atmosfere noir dei primi anni 80. La commistione tra ritmica assolutamente contemporanea e moderna e la struttura melodica e armonica tipica di atmosfere che richiamano alla memoria i film polizieschi o le serie televisiva vintage, crea un’atmosfera al tempo stesso malinconica e carica di energia. Un brano dal grande impatto emotivo che ci vuole spingere ad aprire le nostre “Porte Straniere”. In una vita dove tutto sembra scontato, dove non sembra esserci spazio per nessun tipo di cambiamento, quanto grande è il desiderio di cambiare, di sperimentare nuove vie, di abbandonare la vita che si sta vivendo ed avere il coraggio di aprire quelle porte che non avremmo mai creduto di voler aprire. Una voglia di libertà che ci fa correre veloce di notte in macchina, che ci spinge sull’orlo del burrone, quello sguardo gettato oltre le sbarre delle nostre prigioni, un respiro di sobbalzo svegliandosi di colpo di notte per non soffocare. La ricerca del coraggio, il coraggio di cambiare, di presentarsi sulla soglia di tutte quelle porte straniere che ci fanno paura e che spesso odiamo perché sappiamo che aprendole potremmo davvero essere liberi o scoprire il lato più spaventoso di noi stessi.

I Met Myself (but you’re gone)
Il brano parte con rumori graffianti e screpolati per poi lasciare spazio ad una melodia ossessiva che si sviluppa in un crescendo di sinth ipnotici. C’è la ricerca costante di suoni rarefatti che sembrano quasi dare corpo ad un disagio interiore, il disagio iniziale  di chi ha deciso di cercare se stesso. La struttura del brano, il suo divenire, è come se fosse la costruzione di un edificio in cui devi mettere mattone su mattone partendo dalle fondamenta per costruire una struttura solida. Una dolce melodia sempre ti accompagna e cresce anch’essa col tempo, dal nulla, sino a che, pian piano l’edificio prende forma e con esso la consapevolezza di chi sei, di quella che è la tua identità, tra cadute e ripartenze, tra fallimenti e successi, quella melodia si fa più nitida, più potente, più coraggiosa e la costruzione insieme ad essa prende vita, acquista sicurezza, diviene presenza concreta. Poi all’improvviso, lungo il cammino, mi sono reso conto che finalmente ho incontrato me stesso, alla fine ho trovato la mia identità, ma tu… non c’eri più.

Can’t believe i made it
Un brano che si pare con una melodia dolcissima e sognante, quasi sussurrata da un miscuglio di sinth che si incrociano. Il brano è caratterizzato da due temi melodici e armonici che si sviluppano per tutto il pezzo e da una ritmica incalzante e suggestiva condita da campionamenti di una voce femminile che non fa che ripetere il titolo del brano, con tono di stupore e sorpresa: Can’t believe i made it… Non posso credere che l’ho fatto. Quante volte si prende coraggio per fare delle scelte, per compiere delle imprese e ci si stupisce di aver fatto una determinata cosa. E si è felici di essere riusciti in qualcosa che sembrava infattibile o al di fuori delle nostre possibilità. Viceversa può accadere di fare delle cose che non avremmo mai voluto fare. Di cadere preda delle passioni, della rabbia, del desiderio, dell’odio, del risentimento, e compiamo delle cose senza crederci. Non crediamo di essere riusciti a fare una determinata cosa e ce ne pentiamo amaramente. La vita è un equilibrio tra il perdono per ciò che abbiamo fatto ma non volevamo fare e il coraggio di fare ciò che invece deve essere fatto. Il brano racconta queste suggestioni con una potenza emotiva e sognante che coinvolge l’ascoltatore trasportandolo in un’atmosfera unica.

More flashing lights in the space station
E’ di sicuro il brano più complesso dell’intero LP. Il brano si apre con un parlato femminile ed una ritmica che ci riporta ai primi anni 80. Una conversazione nello spazio tra più astronauti che devono agganciare una stazione spaziale, si trasforma in un viaggio verso l’ignoto, sospesi nel cosmo, fissando il blu della terra, unico punto di riferimento. Un viaggio dove la tecnica e l’innata passione per il superamento dei limiti dell’uomo, si danno manforte. Ed ecco che nello spazio si aprono scenari inimmaginabili, miliardi di stelle nel buio siderale fanno volare i pensieri aldilà dell’universo conosciuto. La ritmica si fa più intensa, i sintetizzatori più presenti, rumori e voci si accavallano. A metà brano sembra che tutti si fermi. I sintetizzatori si fanno silenziosi nelle linee di basso e lasciano il posto ad una melodia struggente ed evocativa che sembra provenire dall’universo più profondo. Gli arpeggi melodici dei sinth si mescolano alle voci di un soprano ed alle comunicazioni radio provenienti da chissà dove… Poi ripartono le comunicazioni tra gli astronauti ed il ritmo si fa più incalzante sino a che non esplode in un fraseggio tra bass lines e pad, tra batterie elettroniche ed analogiche sino a che, il brano non si ferma di nuovo, lasciando il posto ad una serie di corposi tappeti elettronici e voci e suggestioni che sembrano venire da mille universi differenti.

E’ la prappresentazione del legame tra l’evoluzione spirituale e quella della tecnica, entrambe alla ricerca del mistero della vita, diventa tangibile: la capacità dell’uomo di non arrendersi mai, di superare i confini dell’ignoto nella consapevolezza di non essere eterni ma solo mortali. Ma la perseveranza del genere umano, la sua capacità di creare cose dal nulla e l’acquisita padronanza della tecnica e della tecnologia gli consentono, oggi più che mai, di non avere paura e di riuscire a superare ogni sfida. La necessità di utilizzare più luci intermittenti per agganciare la stazione spaziale diviene quindi la metafora dell’umanità che per illuminare il buio che avvolge il mistero della vita e dell’immensità dell’universo, avrà solo bisogno di seguire i segnali luminosi che la propria capacità di evoluzione e le sue capacità, gli metteranno a disposizione nel tempo.

Within us above us
Come si può riuscire a creare suoni mai uditi dall’orecchio umano e metterli al servizio di un’opera creativa? Questo brano ne è un esempio. Un suono creato dalla fusione di diversi sinth elaborati con filtri e varie manipolazioni… sia analogiche che digitali. Il tutto avvolge l’ascoltatore e lo cattura già dalle prime note.

Un brano ipnotico, solo strumentale, in cui questo suono che sembra davvero venire da un altro universo, ci ipnotizza, ci culla, ci risveglia. Tutto ciò che è dentro di noi è collegato a tutto ciò che è sopra di noi. La ricerca interiore deve procedere insieme alla ricerca del senso della nostra esistenza. Se perdiamo questo grande assunto tramandatoci dalla filosofia e dalla spiritualità sin dal principio di tutti i tempi, perderemo il contatto con l’essenza stessa della nostra esistenza. Guarda dentro te stesso e guarda in alto le stelle. Tutto quello che c’è intorno è distrazione. Ascolta il battito del cuore perché è lo stesso battito dell’universo. A quel punto solamente potrai sentirti sospeso nel mare calmo della serenità della conoscenza, dove tutti i tipi di emozioni disturbanti vengono meno e l’uomo è finalmente in grado di riconoscere la sua natura ed avvicinarsi all’assoluto.