San Diego è uno dei nomi più originali usciti dalla scena italiana negli ultimi mesi. L’abbiamo incontrato alla fine di uno dei concerti della sua intensa attività live, in cui in un faccia a faccia di 45 minuti ci ha parlato del suo progetto, delle sue idee per il futuro e di Sabrina Salerno.

Ciao! Iniziamo subito con un chiarimento: San Diego è un gruppo o San Diego sei tu?

San Diego è il mio progetto solista, ma ci sono persone che suonano con me che mi seguono fin dagli inizi, sono amici da tanti anni.

C’è chi ti definirebbe Vaporwave, chi Itpop, non siamo stati capaci di inserirti in nessuna delle due categorie. Voi come vi definite?

Dire che faccio vaporwave non è esatto, dal momento che è un genere non suonato, che rielabora cose che già esistono. Il genere mi piace ma non mi sento di poter essere definito così. Io non mi definisco in nessun modo, vorrei fare una musica che crei un’atmosfera ben precisa, il mio intento è quello.

Ascoltando il tuo live, ci siamo accorti che i tuoi pezzi sarebbero perfetti per una colonna sonora di un film italiano anni ’80. È il momento di rivelarti: c’è Sabrina Salerno fra i tuoi riferimenti musicali?

Assolutamente si! Ma non solo a livello musicale! Vi dico solo che prima di chiamare il disco semplicemente Disco, fra le varie opzioni avevo valutato di chiamarlo Sabrina Salerno Reggio Calabria.

Quali sono altre cose che ti hanno ispirato?

Non so se voglio parlarne, verrebbero fuori delle cose allucinanti.

Meglio!

Allora il primo nome che ti dico è Francesco Salvi. Ci sono dei pezzi di Francesco Salvi anni ’80 pazzeschi. Altrimenti Pino D’Angiò. C’è della roba italiana di quegli anni che è sottovalutata, però è incredibile.

Oltre all’aspetto musicale, ci sembra ci sia anche un discorso organico che lega insieme la tua musica, le grafiche, lo stesso nome che hai scelto. Si capisce che stai cercando di creare un progetto coerente in ogni aspetto. Sei tu a curare tutti i dettagli?

È una cosa che nasce da me, ma sono supportato da tanti amici che mi aiutano a portare in vita le mie idee. L’intenzione è proprio quella: creare un immaginario che sia riconoscibile, creare qualcosa che non ho ancora visto e sentito realizzato da altri.

In Italia non ci sono tanti altri progetti simili al tuo, a livello internazionale c’è qualche nome a cui ti ispiri o comunque stimi?

I Washed Out, soprattutto quando avevano iniziato, parlo dei pezzi del 2009 quando ancora non avevano pubblicato il primo album.

Una delle canzoni più particolari del tuo disco è Conchiglie, scritta insieme allo Sgargabonzi. Ci racconti come nasce il tuo rapporto con lui?

Ci siamo conosciuti a Firenze 3 anni fa, ero già un suo fan. Abbiamo deciso di fare qualcosa insieme, anzi adesso abbiamo in ballo di fare un intero album con musiche mie e testi suoi, in un domani non troppo lontano. La cosa che mi piace di lui è il suo tentativo di portare sempre il cinismo all’eccesso, arrivando a toccare il grottesco, il fatto che far ridere non è il suo primo intento.

Hai un produttore a cui ti affidi?

Si, Francesco Cadetti. Lavora per la Universal, e di solito produce tutt’altro, per farti degli esempi Elisa, Michele Bravi, Eros Ramazzotti. Nonostante questo abbiamo gusti molto simili, probabilmente il mio progetto è anche un suo modo di sperimentare e fare quello che gli piace.

La tua risposta ci dà l’occasione di farti una delle prime domande che ci sono venute in mente dopo aver ascoltato le tue canzoni. Il tuo nome sembra essere spuntato fuori un po’ dal nulla nella scena italiana, ma da come parli e dai tuoi lavori non sembri uno alle prime armi. Cos’hai fatto prima di creare San Diego?

Io ho sempre lavorato come promoter, deejay e organizzatore di concerti e serate al locale di cui curo la programmazione artistica, “Il Muro” di Roma, poi ho suonato in vari gruppi passando dal Punk Hardcore, alla Dub, a cose più cantautoriali. Oggi credo di essere arrivato a fare quello che volevo fare da sempre, ma che fino a oggi avevo avuto paura di fare.

In che senso?

Perché fino a poco fa temevo di fare qualcosa di troppo pop. Ho sempre avuto paura di fare pop, e ancora ce l’ho. In realtà è un genere che mi piace, ma non lo voglio ammettere. Il pop fatto bene è incredibile, ma mi sono sempre ritenuto vicino a scene più alternative. Adesso sto cercando di far convergere questi due aspetti, e di fare un pop che però rispetti una certa etica musicale.

Che è un po’ quello che cercano di fare molti protagonisti di questa fantomatica scena Itpop. C’è qualche nome di questa ondata che trovi interessante?

A me piace molto Cosmo, lo sento abbastanza vicino a me, anche come approccio. Anche Giovanni Truppi e Iosonouncane credo abbiano fatto delle belle cose. In generale però non ascolto molta musica nuova. Se vuoi qualche nome italiano, preferisco dartene qualcuno del passato.

Oltre a Francesco Salvi?

Certo! Ad esempio Sergio Caputo, faceva delle canzoni che stavano molto avanti per l’epoca. Oppure Carella, un compositore degli anni ’70 che nessuno si ricorda ma che ha fatto cose che avrebbero meritato molto più successo.

Ultima domanda, di rito. Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Fare qualcosa di personale, che mi piace, ma che possa essere apprezzato da quante più persone possibile. So che quello che piace a me può piacere a tanti altri, e vorrei riuscire a raggiungere tutte queste persone.

Ciao San Diego!

Saluto tutti quelli che mi conoscono! Buona serata!

 

[foto credit @ Maria Tilli]