C’è un filo sottile che collega passato e futuro, e che collega a sua volta tra loro le canzoni di when monday comes l’album d’esordio di Prim, il progetto-con-band di Irene Pignatti, uscito per We Were Never Being Boring Collective. E il filo conduttore delle canzoni è proprio l’attesa: aspettare qualcuno, aspettare qualcosa, aspettare un momento. Il titolo dell’album, dall’omonimo brano in scaletta, è simbolico e sottolinea il fatto che, dopo la domenica, ci sarà un’altra settimana e quindi un altro giorno, un altro domani. Le canzoni si dividono tra esperienze passate, che vengono lasciate alle spalle, ed esperienze appena intraprese, davanti alle quali c’è un destino ancora ignoto. Anche una vecchia foto trovata in cantina e scelta come immagine di copertina, ribadisce il cortocircuito virtuoso tra ieri e oggi.

Pignatti, già forte di una spiccata personalità nonostante la giovane età, ha tratto ispirazione da nomi eclettici come Clairo, Daughter, The 1975, Tom Odell. Le nove canzoni, che ci racconta traccia dopo traccia, fondono intimismo di matrice alt folk e vivacità indie pop, il calore delle timbriche acustiche e sbarazzine linee di synth, tradizione analogica e sound moderno.

citylights
citylights è stata composta da Matteo Mugoni, il chitarrista, quindi ho scritto il testo in un secondo
momento, sull’idea musicale di Matteo. Scrivere solo il testo e non la musica per me è molto
complicato, è come fare il tema a un amico, quindi il processo di scrittura si è rivelato lungo e
difficile. Il testo finale della canzone è una raccolta di liriche “abbandonate” che ho incastrato
insieme a mo’ di puzzle, e da qui è nata citylights. Le “luci della città”, da cui prende il titolo la
canzone, riportano allo scenario londinese, dove ho passato due estati. In due momenti diversi sono
stata a Soho con dei miei amici ed entrambe le serate sono state indimenticabili, ed è proprio il “non
volere che qualcosa di bello termini” che caratterizza questa canzone – “the night won’t last for
long but I don’t wanna see the dawn”.

when monday comes
Ho scritto la canzone when monday comes a novembre 2020, il giorno prima che scattasse il
secondo lockdown (che era un lunedì). L’album è stato composto in questo periodo di pandemia che
ci ha privato di contatti fisici e sociali, lasciandoci in attesa di un futuro migliore. Il filo che collega
le canzoni tra loro è proprio l’attesa: aspettare qualcuno, qualcosa, un momento. when monday
comes è un titolo simbolico che sottolinea il fatto che, dopo la domenica, ci sarà qualcosa di nuovo,
e prima di quel giorno c’è il passato. Le canzoni del disco si dividono in questo modo: alcune
trattano esperienze passate, che vengono lasciate alle spalle, mentre altre sono dedicate a esperienze
appena intraprese, davanti alle quali c’è un futuro ignoto. È per questa ragione che appena ho scritto
la canzone when monday comes ho pensato che sarebbe stata perfetta come titolo del disco. when
monday comes è anche il pezzo che è stato più “stravolto” dal punto di vista dell’arrangiamento:
inizialmente era stato pensato per chitarra, voce e alcune parti di tastiera, ma questa soluzione non
ci soddisfaceva appieno. In quel periodo ho scoperto Maggie Rogers, guardando il video in cui lei
spiega a Pharrell Williams il processo creativo del suo pezzo Alaska, ed è proprio da questa canzone
che abbiamo preso ispirazione per when monday comes, togliendo lo strumento di base (chitarra) e
aggiungendo elementi improbabili, come loop di voci, voci in reverse, ecc.

ireland
Si tratta della canzone più datata, scritta in origine in italiano quando avevo diciassette anni ed ero
calata nel periodo dell’indie italiano (che è durato molto poco), ma questo esperimento di scrivere
qualcosa nella mia lingua ha fallito e ho lasciato la canzone nel mio quadernino per quattro anni.
L’ho ripescata l’anno scorso, mi piaceva quello che avevo scritto e ho deciso di metterla a posto e
cambiarne la melodia. Così è nata ireland, la mia canzone preferita del disco, che parla di un brutto
periodo passato durante la mia adolescenza, con una persona a cui io ho dato tanto che non mi ha
però dato niente. ireland per me è una canzone di addio, un modo per concludere definitivamente
qualcosa di importante.

she, she, she
Ho scritto questo pezzo dopo che una mia cara amica, che non mi parlava da mesi, mi ha fatto un
discorso incredibile su quanto fossi stronza (posso dirlo?) ed egoista. È una cosa che mi ha fatto
così tanto ridere che ho deciso di scrivere questa canzone allegra con l’ukulele.

bathtub
bathtub è una canzone nata dopo due settimane di scrittura, forse quella che mi ha preso più tempo
tra tutte le altre. L’ho sempre lavorata di notte, non so perché, e la cosa più divertente è che il pezzo
l’ho terminato alle tre di notte dentro la doccia (che è il punto più isolato di casa mia). bathtub è la
canzone d’amore del disco, quella più intima e sincera. Sono molto contenta del testo. Parla della
paura di essere abbandonati e dimenticati – “don’t let me sit in the dust like a broken record – I
wanna live forever in your head”.

roots
La parte di chitarra di roots risale al 2019, da un’idea di un amico, ma per molto tempo non ho
saputo cosa scriverci attorno, sempre per il motivo che faccio fatica a scrivere i testi su musica che
non ho composto io. Alla fine, roots è venuta fuori a novembre 2020, dopo che sono andata in
chiesa, obbligata dai miei genitori che sono molto cattolici, nonostante io non creda più da molti
anni. In questa circostanza che mi creava disagio, ho pensato a come da piccola avessi perso la fede,
e ho voluto riportare questi miei pensieri di ragazzina di undici anni in una canzone, con tutte le
domande esistenziali che mi facevo per dare un senso a tutto.

i love cats
La musica di i love cats è stata composta dal bassista Davide Severi. i love cats è nata dopo che ho
ricevuto catcalling mentre passeggiavo, e racchiude al suo interno il paragone metaforico tra il gatto
e la donna che viene “avvicinata” tramite versi sonori come se fosse un gatto. Questo testo è forse il
più universale del disco, quello in cui più persone potranno rispecchiarsi.

thanatophobia
Questa è l’ultima canzone scritta per l’album e parla della paura della morte, una fobia che mi
tormenta da molto tempo. Una sera per cercare di distrarmi ho provato a scrivere, per dare un senso
alla mia tanatofobia, e per capire cosa esattamente mi tormentasse della morte, da qui è nato il
pezzo. Ho deciso di utilizzare l’ukulele e rendere tutto “felice e spensierato” creando
un’opposizione rispetto al tema principale della canzone. Questa spensieratezza si trova anche nella
seconda parte, in cui faccio un riferimento alla poesia I Wandered Lonely as a Cloud di William
Wordsworth, immedesimandomi in oggetti inanimati (narcisi e una nuvola) per non pensare alla
morte.

thank you for the flowers
Ho scritto questo pezzo durante la quarantena. Molte parti del testo le ho però cambiate poco prima
di registrare la versione finale, per una questione di sonorità. Parla della me stessa che guarda fuori
dalla finestra, e osserva come il tempo sia riuscito a bloccare qualsiasi cosa.

cover credit @ Elisa Hassert