Intervistare i Goat è un’esperienza estremamente rilassante, perché questo collettivo svedese (in teoria, dato che l’unica coordinata geografica sulla band è che si sia formata a Korpilombolo, paesino di 600 anime situato nell’estremo nord del Paese, da dove, in realtà, vengano i componenti e quanti siano davvero è mistero) ama rispondere alle domande in modo ultra sintetico, cristallino e non fraintendibile. Non vogliono dirci chi sono, questo si era capito da tempo, da quando, cioè, hanno fatto il loro incendiario ingresso sulla scena musicale, ridando linfa vitale e lustro a un genere un po’ impolverato come la world music. Perché è lì, alla “musica del mondo”, unica definizione per loro possibile di ciò che fanno, che rimandano ogni loro lavoro, dal limpido negli intenti fin dal titolo World Music, appunto, a Commune fino al nuovo e attesissimo Requiem. Impossibile negare il fascino che trasudano i Goat, capaci tanto di impacchettare dischi famelici di suoni provenienti da ogni angolo del mondo senza creare caos quanto di esplodere in live, con formazioni il più delle volte free-form, selvaggi ma mai grezzi, tribali senza scadere nella macchietta. Insomma, hanno classe questi ragazzi (ragazze? Uomini? Eunuchi?) a cui chi scrive ruberebbe volentieri un paio di capi pescati a caso dai loro costumi di scena, ma hanno soprattutto addosso un’energia, parola abusata ma in questo caso indispensabile, che rende il loro concerto di domenica 28 agosto al Todays Festival di Torino imperdibile. Nel frattempo ecco che cosa ci hanno, brevemente, raccontato in un’intervista, come è loro consueto, via mail.

Che cosa significa essere parte dei Goat?

Un sacco di divertimento.

Le 3 cose più importanti per il vostro collettivo.

Amore, pace, felicità.

Quanto contano le radici e le tradizioni per voi?

Se aiutano a creare un futuro positivi sono importantissime, in caso contrario è meglio staccarsene.

Che cosa potete dirci sul nuovo disco Requiem che uscirà il 7 ottobre per Sub Pop?

Si tratta di un doppio album ed è un lavoro che tiene i piedi ben saldi per terra ma anche la testa proiettata nello spazio. Non crediamo che catturi al primo ascolto, ma crediamo che crescerà dentro le persone come hanno sempre fatto i classici doppi album del passato.

Com’è cambiato il vostro suono nel tempo?

Stavolta abbiamo usato un sacco di chitarre acustiche. Oggi abbiamo un suono più “folky vibe”.

Secondo voi qual è il sentimento principale che un vostro live scatena nel pubblico?

Speriamo di farli sentire sollevati e confortati.

Qual è il miglior pubblico nel mondo?

Qualunque pubblico sappia entrare nella nostra energia e ridarcela indietro a sua volta.

Voi amate profondamente la musica: ci sono altre arti in cui vi esprimete?

In tutte e le amiamo tutte.

Il momento più divertente e quello più strano di questi ultimi 4 anni come Goat?

Il più strano in un certo senso sono sempre le interviste, perché ci fanno riflettere su cose a cui mai avremmo pensato. Il più divertente è ogni volta che facciamo la nostra musica.