Dunque, c’è un pianeta che si chiama Hyperocean che ha la bizzarra caratteristica di essere completamente ricoperto dall’acqua e per questa ragione i suoi abitanti, che invece si chiamano Escher Surfers

sono costretti a muoversi surfando, ma a testa in giù, con testa e corpo sott’acqua. Tutto chiaro? Se non lo è nemmeno lontanamente, continuate pure a leggere senza timore, perché quanto scritto sopra nasce dalla fervida immaginazione del duo elettronico torinese dei Niagara, ovvero Gabriele Ottino e Davide Tomat. Il loro nuovo album, Hyperocean per l’appunto (pubblicato a fine aprile per Monotreme Records) oltre alla succosa parte sonora ne ha infatti una visiva e immaginifica altrettanto vivace. Di questo, della loro imminente partecipazione a Todays festival (venerdì 26 agosto allo Spazio 211) e del perché della centralità dell’acqua, abbiamo chiacchierato con Davide, partendo, però, da un breve tuffo nel passato.

Com’è successo che dai vostri mille progetti passati, dai Namb ai Gemini Excerpt, abbiate poi consolidato il progetto parallelo dei Niagara?

È stato un po’ casuale e un po’ voluto: finito l’ultimo disco dei Namb a entrambi è venuta una gran voglia di fare qualcosa di diverso. Il problema è con i Niagara, che esistevano già, avevamo registrato una quantità smodata di campioni presi dal film e l’etichetta per questa ragione si rifiutava di farlo uscire. Poi sono successe altre cose e quel materiale è rimasto lì per un po’, fino a che, sentendo buone vibrazioni verso il progetto, lo abbiamo ripreso in mano, riordinato, rimaneggiato e via, è uscito Otto, il nostro primo disco.

Come nascono i vostri pezzi? Componete insieme o ognuno fa la sua parte e poi vi confrontate?

Nascono innanzi tutto da una grande e reciproca sintonia, specie nei momenti di mix. Per quanto riguarda la fase di composizione non abbiamo un vero e proprio metodo: ognuno ha le sue ideuzze, le scova, le elabora e poi le propone all’altro, infine mettiamo insieme il tutto. Gli unici momenti di solitudine sono quelli in cui mettiamo giù le voci: lì vogliamo stare ognuno per i fatti propri.

Chi dei due è più severo nel giudizio?

Siamo entrambi delicati e incoraggianti. Se però devo parlare di severità, io lo sono più sul suono e Gabriele sui testi.

La parte visiva è potentissima nel vostro lavoro, basti guardare il video di Hyperocean

Costruite mentalmente i video già mentre scrivete il disco?

Sì, esatto, mentre scriviamo i pezzi abbiamo già tantissime immagini in testa. In particolare con questo disco insieme ai brani nasceva anche tutto quest’universo virtuale, colorato, strambo, nostro.

Hyperocean è un disco totalmente elettronico eppure per niente freddo: volevate ottenere questo effetto?

Assolutamente e se l’abbiamo ottenuto ne siamo molto contenti. L’obiettivo era proprio dare forma a una musica elettronica calda e organica, dove però gli unici elementi analogici sono le percussioni e l’acqua, che è stata registrata con un idrofono un po’ ovunque: dalla piscina a una bacinella a una spiaggetta in Calabria. Usare l’acqua credo abbia permesso a questo disco di poter essere sì ascoltato ma anche percepito sulla pelle.

Come mai la passione per l’acqua?

Per Gabriele, come racconta, è legata al liquido amniotico, dato che è nato quasi morto. Per me, invece, è l’elemento naturale che regala pace e calma, che ogni volta ti fa sentire rinato dopo che ti ci sei immerso. Insomma, una cosa molto potente, che simboleggia la crescita e il cambiamento.

A proposito di rinascite, Todays Festival è la rinascita culturale di Torino dopo la fine del Traffic?

Io credo che Torino da un po’ di anni sia una città dove di cose ne succedono. Si sta muovendo in una direzione europea e io personalmente la vedo un po’ come un’officina dove si lavora sottoterra e si sperimenta tanto.

Voi non sembrate inglobati da questa o quella corrente, ma piuttosto apparite come dei cani sciolti …

Sì un pochettino ci sentiamo così, ma forse è dovuto al fatto che cambiamo tanto e spesso, che non siamo mai soddisfatti e che viviamo il presente con un misto di inquietudine e paranoia. Tutta questa agitazione fa sì che non si appartenga a nessun “filone”.

Che rapporto avete con il live? Vi gasa, vi snerva o che?

Prima di suonare ci viene sonno, un sonno terribile, come dovessimo raccogliere e incamerare le energie per esplodere sul palco. In generale, però, per noi il tour e i concerti, anche uno dietro all’altro, non sono stancanti, anzi sono come una vacanza legittimata, durante la quale puoi vivere spensierato tante cose stupende. Mi stanco molto di più a stare fermo a Torino.

Le vostre radici musicali, quelle dell’innamoramento con la musica?

Per tutti e due i Pink Floyd più di tutti, poi Beatles, Beach Boys, tanto minimalismo e tanta psichedelica.

Vi piacerebbe azzeccare il pezzo pop, alla Cosmo?

A me non interessa, ma proprio per nulla, e in più non vorrei mai essere costretto a fare quel pezzo che i fan vogliono a tutti i concerti. Poi magari Gabriele a mia insaputa è lì che lavora come un pazzo a una hit, eh, questo non lo so per certo.

Vi diverte la parte puramente legata all’estetica, ai look da video o da concerto?

Anche quello è un elemento che abbiamo e che ci diverte: siamo un po’ stupidotti, per noi vestirci un po’ strambi è un modo per prenderci meno sul serio e magari alleggerire la “pesantezza” di un pezzo.

Ci sono altre arti in cui vorreste misurarvi?

Nella video arte tutti e due, a me poi interessano le colonne sonore e credo faranno parte del mio futuro.

A proposito di colonne sonore, al Todays ci sarà Carpenter: sei un fan?

Come tantissimi in Italia, certo. La sua impronta, soprattutto sonora, fa parte del mio bagaglio.