Conosciuti come “i Velvet Underground più marci alle prese con la canzone italiana classica, Mina e Patty Pravo in una sala prove del Pigneto”, gli WOW sono difficili da descrivere con poche parole.

Il loro è uno stile eclettico, ma senza contraddizioni. Se dovessi cercare una metafora, vi direi di immaginare alla pelle di serpente: cambia sfumatura e si dilata per poi restringersi, ma mantiene la sua uniformità. L’orma serpentina degli WOW si distingue senza dubbio nella scena musicale contemporanea per diversi motivi. Ne ho parlato proprio con Leo e China, nucleo centrale della band, che suonerà stasera venerdì 20 dicembre al festival Passatelli in Bronson.

Come La Notte è un disco notturno, uno di quelli da ascoltare con l’abat jour accesa e il silenzio attorno. Se doveste pensare ai vostri ascolti notturni, cosa vi verrebbe in mente?

Leo: È difficile rispondere, però ti posso dire che ci capita di mettere dei dischi in un circolo a Roma e la musica selezionata è ambientata in grosso modo di notte con ritmi rallentati e crepuscolari.

China: Un brano, uno per tutti, però ce l’abbiamo. È Blue Nile di Jon Hassell.

Oltre all’intimità notturna, ricorda una femme fatale: total black e sigaretta accesa. A proposito, quanto ci è voluto a realizzare l’ultimo album in termini di sigarette?

Leo: In realtà China non fuma, io abbastanza ma dipende dal contesto. Però il tema del fumo ricorre spesso, è vero. Abbiamo stampato anche delle tshirt con una mano che teneva una sigaretta accesa e il fumo che formava la scritta WOW. Ci sono dei riferimenti a delle ambientazioni notturne un po’ alla David Lynch, per farti un esempio: la scena di Blue Velvet con Isabella Rossellini che canta.

Parlando di film, nei vostri pezzi ci si vede molto una Cinecittà d’altri tempi.

Leo: Di sicuro abbiamo una forte cultura cinematografica, forse più di quella musicale che è più disordinata e multiforme.

China: Il cinema poi ha un rapporto stretto con le persone della nostra generazione perché è la più grande illusione e disillusione. Ci ha insegnato tutto, ci ha illuso di tutto e ci ha disilluso di tutto.

Visto il vostro sound 60s/70s, avete mai pensato di produrre delle colonne sonore per film dal sapore vintage?

China: Sicuramente ci piacerebbe. Per ora abbiamo lavorato a una drammaturgia musicale per uno spettacolo teatrale ispirato a Deserto Rosso di Michelangelo Antonioni. Abbiamo arrangiato i nostri pezzi e Domani, il brano di Franco Fanigliulo e ultima traccia di Come La Notte. Portare la musica in uno spazio come quello del teatro offre una dinamica diversa rispetto ai palchi dei concerti. Ti permette di dilatare i brani e trovare l’osso di quello che fai, l’essenza. In questo il teatro è molto spietato, ma la sua spietatezza ci ha consentito di lavorare con una cura differente. Prima ci approcciavamo alla musica in modo istintivo, come una band punk. Scrivere una drammaturgia è stata un’occasione di studio e riflessione per uscire dalle nostre abitudini e tentare qualcosa di diverso. Ci abbiamo lavorato per circa un anno e mezzo, immagina la fortuna di poter andare in sala prove per tutto questo tempo.

In effetti non è da tutti uscire dalla propria comfort zone creativa.

China: Perché non ci sono i mezzi per farlo. Se la musica avesse soldi e tempo da investire, sicuramente altri si concederebbero la possibilità di uscire da queste modalità creative incancrenite.

Si può dire che avete riportato la lingua italiana a una musicalità quasi estinta? Non so, per me i vostri pezzi non sarebbero la stessa cosa in inglese.

China: Noi in verità abbiamo iniziato con l’inglese. Con gli anni abbiamo iniziato una riflessione su cosa significasse la colonizzazione linguistica e su come riprendere la propria tradizione. Così siamo tornati all’italiano. Non escludo che spostandoci anche all’estero, non ci possa tornare la voglia di esprimerci con altre lingue.

Il pubblico estero canta in italiano?

China: Ogni tanto, le più famose. La cosa carina è che ci dicono “compro il disco, così mi traduco tutti i testi”.

Parliamo degli art work dei vostri album. Fin dal primo sono realizzati sotto forma di collage, chi li fa?

Leo: Sì, sono tutti collage ma di autori diversi. La cover del primo disco, Amore, è di Karen Costance. L’abbiamo intercettata a un festival dell’illustrazione a Roma e abbiamo scelto tra i suoi lavori quello più vicino al concept del disco. Per il secondo disco abbiamo cercato tra le opere di Francesco Viscuso la più rappresentativa per Millanta tamanta. Per Come La Notte, invece, abbiamo mandato le tracce del disco a Luca Tanzini che ha creato un collage perfetto.

E infine la domandona: voce, sonorità e testi degli WOW sono spesso paragonati a Mina e Patty Pravo, ed è vero. Non vi chiedo che cosa ne pensiate, ma quali loro pezzi avreste voluto scrivere?

Leo: Molto umilmente non credo dovremmo metterci a fare dei confronti, con Mina soprattutto. Se telefonando è una delle canzoni più belle mai scritte, arrangiata da Morricone, ed è intoccabile. Quello che facciamo è recuperare le sonorità degli anni Sessanta e aggiornarle al presente.

China: A me piace Ragazzo Triste di Patty Pravo. Mi domando però perché viene spesso fatto questo paragone scomodo ed esagerato. Sicuramente è banale: non si tratta di un tentativo di imitazione di Mina o Patty Pravo, piuttosto di un retaggio dalla mia esperienza teatrale e dagli anni di dizione. Questo ha influenzato il mio modo di cantare, con sillabe e parole italiane che ricordano una pronuncia non contemporanea.

Gli WOW vi aspettano al Bronson di Ravenna questa sera per il Festival delle Feste, o meglio per il Passatelli in Bronson. Saliranno sul palco anche HÅN, LVCA e Max Penombra feat. Visioni di Cody.

Foto Barnaba Ponchielli