C’era chi voleva cantare come Biagio Antonacci e c’è chi si chiede come sarebbe comporre la musica che si ascolta ad un party di Biagio Antonacci. Ci sono questi due autori compositori italiani trapiantati a Parigi: Giacomo Lecchi d’Alessandro e Leonardo Rizzi. Di orizzonti diversi, li unisce un certo gusto per i dettagli insignificanti del quotidiano, il fascino per i personaggi marginali, l’amore infinito per la canzone italiana, quella che rende indissociabile un’emozione da una melodia. Nell’umido di una cantina di Barbes nascono una manciata di brani nei quali sembra prendere forma un personaggio che, similmente alla musica che lo accompagna, si osserva e si racconta per quello che è. Diverso.

Sbaglio o è la vostra prima intervista per una webzine italiana?
G: Sì, è la prima volta che parliamo a qualcuno di persona di questo progetto.

Cosa vi aspettate da questa prima intervista?
G: Assolutamente niente, cioè non siamo aggiornati sui tuoi follower..come stai messo?

Male, fate bene a non aspettarvi niente! Com’è la situazione in Francia per le riviste musicali?
G: Pessima, nel senso che le poche riviste del settore che ci sono qui funzionano male. Penso a TSUGI o a Les Inrockuptibles, che è una vera e propria istituzione, ma sta andando sempre peggio. Si siedono su progetti dalla popolarità già acquisita scrivendo articoli che risultano per lo più marchette, e puntano sempre meno sulla promozione di cose fresche e interessanti. Il pubblico si sta stancando di questo gioco alla lunga poco interessante e le vendite stanno calando.

Quali sono i vostri artisti di riferimento?
L: Lucio battisti sopra a tutti.
G: Sì, sicuramente Battisti. Poi si ascolta veramente di tutto. Ci Piace Bach, tantissimo ad entrambi, e lì c’è dentro un po’ tutta la musica pop del mondo. Leonardo viene dal Jazz suonato, io da piccolo ascoltavo tantissima musica classica e tutto quello che contiene tanta armonia vocale come Crosby Still Nash & Young, Beach Boys, Queen.
L: Jesus Christ Superstar!
G: Nel caso mio ho avuto la fortuna di crescere in un ambiente familiare musicalmente molto fertile, dove ho dovuto fare poca ricerca perché la musica buona arrivava da sola alle mie orecchie

Come nasce la vostra collaborazione e com’è che vi siete ritrovati a fare musica insieme a Parigi?
L: Abitavamo già a Parigi entrambi e inizialmente ci siamo trovati per fare delle produzioni insieme perché ambivo ad entrare nel magico mondo della musica delle pubblicità di cui Giacomo è un esponente di spicco nella scena francese. Poi, dopo aver personalmente fallito in questa tattica, ci siamo messi quasi subito a scrivere musica insieme perché abbiamo percepito una specie di energia pop che ci legava.
G: Abbiamo provato a fare un pezzo veramente pop e l’idea era cercare di venderlo ad altri cantautori.  In realtà ci abbiamo lavorato con questo intento solo la prima mezz’ora e al minuto trentuno stavamo già ragionando su qualcosa di nostro. E così ci siamo detti: “sticazzi”, ecco, sticazzi rappresenta bene Le Feste Antonacci come concetto, ovvero scrivere musica pop restando però liberi di sperimentare quello che ci passa per la testa.

E’ in quel momento che avete scelto anche il nome?
G: Quando abbiamo iniziato a comporre continuavamo a dirci: “facciamo musica che potrebbe suonare alle feste di Biagio Antonacci”.
L: Si, abbiamo immaginato di ispirarci alle ambientazioni dei video di Biagio, pieni di tipe superfighe vestite di bianco che bevono champagne.

Lo conoscete di persona Biagio?
G: Ahahaa..No, però abbiamo un cugino che si chiama Antonacci e se ci fossero eventuali lamentele da parte sua la scelta del nome sarebbe automaticamente imputabile al cugino. Cioè, speriamo che Biagio non ci faccia causa.

“Purchè se ne parli” dicono. Il vostro EP è uscito per un editore francese con il cantato in italiano, guardate più al mercato francese o a quello italiano?
G: Ad entrambi, Il piano, quello che poi sta succedendo nella realtà, era quello di farci notare qui in Francia in modo che si creasse un minimo di rumors sul nostro lavoro tale da legittimare un reale interesse anche in Italia. Comunque in Francia, e in particolare a Parigi, sono molto aperti e curiosi verso la musica che arriva dagli altri paesi.
L: Al momento ci sentiamo di interpretare il sound che la città ha voglia di ascoltare.

Andate spesso a concerti in Francia? Come sono cambiate le norme di sicurezza dopo i fatti del Bataclan? G: Ci capita spesso di andare a serate in locali pubblici, anche al cinema o a teatro per esempio. Nei giorni successivi al 13 novembre mi capitava di guardare dove era l’uscita di sicurezza più vicina non appena entravo in un luogo chiuso, ma in realtà il senso di paura collettivo è svanito in pochi giorni.

Trovate che in Francia ci sia un maggior rispetto delle normative legate a sicurezza e capienza massima dei locali?
G: Forse sì, anche se agli eventi più underground è facile avere la percezione del locale più pieno del dovuto anche qui.

Secondo voi la musica oggi ha un ruolo che va oltre il puro intrattenimento?
G: Si certamente, ma credo che non si possa ascoltare sempre musica profonda o doverci per forza cercare un significato importante. La musica ha sempre un suo messaggio e un suo ruolo. Per esempio, secondo me, la musica super commerciale che copre un’importante fetta di mercato ha lo stesso senso di esistere della musica classica. Diciamo che c’è bisogno di tutto, così come c’è bisogno della pastasciutta e del gratin dauphinois.

Siete pronti a portare in tour la vostra musica? Come pensate di strutturare il live?
L: Debutteremo live sabato 20 aprile al Paco Tyson Festival a Nantes. Ci faremo sicuramente accompagnare da un batterista e ci saranno tastiere, basso e chitarra suonate live. Per ora con una formazione ridotta.
G: Il sogno è fare un live con molta gente sul palco, per ora però ci limiteremo a quanto diceva Leonardo cercando però di ridurre il più possibile l’utilizzo del computer per essere più liberi, così da poter fare una misura in più di un riff per esempio. Vogliamo ottenere un effetto differente e più originale dalla pura esecuzione live del disco.

Una cosa che vi manca tantissimo dell’Italia?
G: A me personalmente una cosa che mi manca tantissimo dell’Italia è l’Italia, con tutti i suoi pro e contro, mentre invece una cosa che non mi manca sono gli Italiani. Quando sono rientrato a Genova durante le feste sono stato felicissimo di rivedere tanti amici ma purtroppo ho rivisto anche tante tesate di cazzo con una mentalità ottusa.
L: Io sono originario di Siena e ho vissuto per molto tempo a Firenze e devo dire che qui mi manca l’umorismo trasversale, la possibilità di fare battute in una conversazione senza la necessità di specificare che stai scherzando. In Francia il senso dell’umorismo è estremamente regolamentato, nel momento in cui inizi a scherzare devi in qualche modo esplicitarlo ai presenti in modo che non si offendano e si perde spontaneità nella conversazione.