Angelo Trabace, pianista e compositore, approda alle rive del mercato musicale con un disco che non sembra appartenere a questo mondo. Sbarco, titolo del disco in questione, pubblicato per Believe e Sugar Music, si muove per sensazioni temporali e per colori spaziali.

Alla nostra domanda di introduzione al disco, Angelo ci risponde così: Sbarco è una raccolta di undici composizioni strumentali, ognuna con un proprio paesaggio sonoro: c’è il folk dei riti contadini del sud e l’eco stellare delle melodie popolari, che si perdono tra le crepe del sud e le nebbie del nord (i luoghi in cui ho vissuto) per ritrovarsi infine nella natura segreta e misteriosa delle periferie delle città. Ascoltando il disco a posteriori ho avuto l’impressione che è come se volesse raccontare una singola giornata, trovo infatti che in generale ogni traccia abbia a che fare con un orario preciso e di conseguenza con uno stato d’animo diverso. C’è per esempio un notturno o un pezzo che mi fa pensare all’alba oppure a un tramonto straziante.”

Sono tutte composizioni per  tastiera, con il pianoforte come unico strumento percussivo. Mi piace definirle “musiche selvatiche” come quelle piante che crescono spontanee, libere, nei posti più imprevedibili e nelle situazioni più difficili.

Sbarco 

Qui si approda in una dimensione incantata, un mondo nuovo dove il pianoforte diventa un’isola e un riparo. Per raccontarti a parole Sbarco, prendo in prestito dei versi di Emily Dickinson tradotti da Silvia Bre che un po’ è come se evocassero questa dimensione sospesa: “Come se il mare si dovesse aprire/mostrando un altro mare -/ e quello – un altro – e i tre/ non fossero che annuncio – / di epoche di mari – non raggiunti da rive – /mari che sono rive di se stessi – /l’eternità – è così.”

Rapsodia contadina 

Rapsodia contadina nasce dalla melodia di una canzone popolare in dialetto lucano che si cantava dalle mie parti durante il periodo di carnevale quando con uno strumento antichissimo che nel mio paese si chiama “cubba-cubba” si producevano suoni cupi e gravi e con una ritmica precisa e incalzante, si andava a cantare fuori dalle case dei padroni che avevano ammazzato il maiale per ricevere in dono un po’ di carne. Questo ricordo ha sempre suscitato in me una sorta di terrore e inquietudine mascherata a festa, che ho provato a trascrivere al pianoforte trasportando una filastrocca allegra legata a un mondo rurale arcaico, in una sorta di lamento in tonalità minori con accordi più macabri, quasi per provare a esorcizzare un evento traumatico del passato in un tempo presente. Ho mischiato poi il tutto con dei sintetizzatori analogici insieme ad Angelo Di Mino al Blackstar recording studio e come ulteriore elemento ritmico ho percosso con le mani direttamente sulle corde del pianoforte come fosse un bongo, fino a creare una specie di “trance” ritmica e ossessiva che invitasse a una danza estatica.

Scighera 

Forse mi sono immaginato questa nebbia magica e avvolgente della vecchia Milano per non vedere la bruttezza, il cemento e molta solitudine  metropolitana contemporanea, “la scighera” come la chiamano i milanesi è un modo per perdersi e non trovare più la strada maestra, per sentirsi in nessun luogo e dappertutto. Bruno Munari in un libro di illustrazioni scriveva “d’inverno la natura dorme e quando sogna appare la nebbia”

Angelo Trabace SBARCO (1)

lost Tarantella 

È un brano quasi ballabile, una tarantella psichedelica suggestionata da una mia visione: un ritrovo di donne attorno alla casa di un ammalato – rituali e preghiere per favorire la guarigione – in sottofondo verso la fine compare una registrazione della voce di mia nonna che recita una formula in dialetto irsinese contro il malocchio.

 Il cielo a bocca aperta 

E’ un breve intermezzo, un respiro tra questo mondo e un altro. Una quiete prima della tempesta. Il titolo è un verso di una poesia di Rocco Scotellaro. Qui il sintetizzatore Elka Synthex è protagonista su un tappeto sonoro di sonagli e campanacci che ricordano quelle dei pascoli nelle campagne lucane.

 Rivelazione

Una notte mi sono perso in un bosco dopo una festa. C’è in questo brano una corsa in affanno  e il pianoforte qui sembra fuggire da qualcosa di terribile che sta per accadere. In sottofondo verso la fine ho inserito la voce di una donna russa, tratta dal film “Stalker” di Tarkovskij, che recita un passo da “L’apocalisse o Rivelazione di Giovanni”, un presagio del Giudizio Universale: “…Le stelle del cielo caddero sulla terra, come i fichi acerbi cadono dall’albero quando è colpito da vento impetuoso. La volta celeste si squarciò e si arrotolò, come un foglio di pergamena; tutte le montagne e le isole furono strappate via dal loro posto. I re di tutta la terra, i governanti, i comandanti di eserciti, le persone più ricche e potenti andarono a rifugiarsi nelle caverne e fra le rocce dei monti insieme a tutti gli altri, schiavi e liberi…”

 Memorie di un mammifero 

Ho sognato Erik Satie con cilindro, cappotto e ombrello che entra di notte durante un temporale in una piccola sala da concerto vuota. Il suo ombrello in realtà è un violino, si toglie il cappotto e inizia a suonare al buio mentre fuori continua a piovere senza tregua.

 Valzer delle cose abbandonate  

Il valzer delle cose abbandonate nasce da una melodia che mio padre suonava al flauto. In studio poi abbiamo trovato il modo per destrutturarlo e riarrangiarlo per renderlo, per così dire più “marcio e decadente” e meno idilliaco, inserendo degli elementi di disturbo attraverso la preparazione del piano con forchette, coltelli e cucchiai appiccicati alle corde, per trasformarlo ancora di più in una percussione così da sembrare un vecchio pianoforte scordato nel seminterrato di un bar di un paesino abbandonato.

 La crepa

Una specie di tango tra le macerie fatto di organi e sintetizzatori anni 70 in una casa occupata, dove da una piccola crepa si può vedere tutto: il futuro e il passato. Nel finale una folata di vento e il pianista rimane da solo a improvvisare ancora un po’. La festa è finita, sipario.

Aftershow

Uno swing notturno, una specie di colonna sonora di un mio film immaginario, tra i resti e gli avanzi di una cena dopo una festa, si sparecchia. Julio Cortazar scrisse : 

“E quando tutti se ne andavano

e restavamo in due

tra bicchieri vuoti e portacenere sporchi,

com’era bello sapere che eri lì

come una corrente che ristagna,

sola con me sull’orlo della notte,

e che duravi, eri più che il tempo,

eri quella che non se ne andava

perché uno stesso cuscino

e uno stesso tepore

ci avrebbero chiamati di nuovo

a svegliare il nuovo giorno,

insieme, ridendo, spettinati.”

Preludio

Un omaggio al mondo classico e contrappuntistico con sintetizzatori (Crumar Multiman S, Korg Trident, SIel cruise, Roland 505-Paraphonic  e archi fanno da padroni) In sottofondo scorre il suono liquido di fontane secolari.  E’ un preludio che anticipa qualcosa che non accade.

La musica è quello che resta nel silenzio dopo aver ascoltato un disco. 

Nella fine però c’è sempre lo spazio per un nuovo inizio.

foto credit @ Giulia De Paola