Si chiama “Un segno di Vita” il tour e l’album di fresca uscita dell’artista di Ferrara Vasco Brondi e ieri, 12 aprile, all’Estragon Club di Bologna si è realizzato uno dei riti laici meglio sentiti tra i live della scena indie attuale.

Il concerto si apre con i Non Voglio Che Clara, band bellunese, guidati dalla sapiente penna di Fabio De Min e che hanno scritto anche loro delle fondamentali pagine della musica indipendente italiana degli ultimi vent’anni. Di recente pubblicazione l’album “MacKaye“, edito per Dischi Sotterranei, è come lo descrive De Min «uno sguardo rivolto al periodo della nostra tarda adolescenza». Durante la serata, invece, abbiamo avuto la possibilità di ascoltare una serie di brani storici del loro repertorio.

Con la giusta dose di preparazione, ecco che poco dopo le 21.30 Brondi e la sua band al seguito riempie il palco: la folla è pronta ad accoglierlo.

Si inizia con i brani dal suo nuovo album “Un segno di vita” per poi passare a quelli dai suoi album precedenti (“Terra”, “Paesaggio dopo la battaglia”) senza tralasciare anche quelli che per Brondi sono state delle vere e proprie pietre miliari: “Quando tornerai dall’estero”, “I destini generali”, “Per combattere l’acne” e l’immancabile “Cara catastrofe”.

L’artista ferrarese ha saputo quindi, tra un aneddoto e una poesia, incastonare alla perfezione ogni canzone nella scaletta, creando un’interconnessione tra il Vasco de Le luci della centrale elettrica più giovane e (quasi) inconsapevole e quello invece più maturo del 2024, che si avventura in territori sonori inesplorati in cui ci sono persone, c’è il fuco ma anche l’acqua mare, la città e l’universo.

Tra il presente e passato non si percepiscono scarti, non c’è giudizio ma una piacevole contaminazione e accettazione del proprio percorso artistico e personale. E lo percepiamo forte quando Brondi racconta della prima volta in cui ha scelto di chiamarsi Le luci della centrale elettrica e ancora di quando a Bologna osservava da lontano Lucio Dalla senza riuscirsi mai ad avvicinare.

Fra il nuovo e il vecchio non c’è una profonda separazione, tutto è uno, e tutto con Brondi diventa la manifestazione del fatto che ogni tanto basterebbe “un segno di vita” a ricordarci che, finché esistiamo, si può sempre sperare di cambiare il mondo, se non tutto, almeno il nostro.


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