I Frank Sinutre arrivano dalla campagna di Sermide (MN) ma con i loro live hanno già raggiunto 290 città e paesi del mondo. Lo scorso settembre è uscito il loro nuovo disco 200.000.000 Steps e ora stanno sperimentando il prototipo di un nuovo strumento che hanno chiamato ROTOTUNE.

Abbiamo fatto due chiacchiere con Isi Pavanelli (reactabox, synth, beat maker, vocoder) e Michele K. Menghinez su viaggi, ispirazioni musicali e concerti.

Ciao Frank Sinutre! Come avete scelto questo nome?
[Michele K. Menghinez] A dire il vero quando abbiamo iniziato nel 2011 avevamo deciso di chiamarci Boonanotte. Con due o. Dal momento che inizialmente facevamo per lo più reading avevamo deciso che le canzoni potevano avere la forma di racconti della buonanotte. Dopo un mese, avendo ricevuto l’incarico di scrivere la colonna sonora per “La Colpa della Leonessa”, che poi diventò il nostro primo album, smettemmo con i reading e cercammo un nome dalla nostra personale banca dati di nomi e su una cosa concordammo assolutamente: serviva un nome che non necessitasse di un logo o altro. Cercavamo inoltre un nome che per associazione fosse facile da ricordare, una sorta di gioco di parole. Avremmo potuto scegliere Fiorella Mannaia, o anche Paolo Gini o Paura Lausini, Fred Buonsenso, ma in mezzo ai tanti abbiamo scelto proprio Frank Sinutre. Frank perché entrambi i nostri papà si chiamano Franco e Gianfranco. Una bella casualità generata probabilmente dalla poca fantasia nei nomi che venivano scelti negli anni ’50 dalle mamme di allora. Sinutre ovviamente perché fa il verso a Sinatra (anche se noi con Sinatra non c’entriamo troppo) ma in questo modo è più memorizzabile. Attenzione perché il nome può poi anche sviare e fuoriviare: prima di un live in un posto a Cremona un signore a colpo sicuro ci disse prima del check “Allora ragazzi voi siete un tributo a Frank Sinatra”… Rispondemmo solo: “No no, siamo il tributo ai Frank Sinutre”. “Ah” molto colpito rispose lui. Capimmo di aver scelto non poi così male una sera a Lubiana in un live quando un ragazzo ci domandò: “What does it mean Sinutre?”. “It means eat, but this name is a word game”. Il ragazzo molto intelligentemente colse la cosa e ci disse “Understood, like Chet Baker and Chet Faker”. “Ah” rispondemmo noi molto colpiti.

Siete partiti da Sermide per arrivare a suonare a Zurigo, Ljubjana e tanti altri paesi sparsi nel mondo. Ma la vostra dimensione ideale è la provincia con la sua campagna o la metropoli con le sue luci?
[Michele K. Menghinez] Abbiamo una bella cartina politica dell’Italia e degli stati confinanti appesa alla porta della sala prove tipo aula di quinta elementare. Ad ogni live di solito mettiamo una bandierina come segnalino nella città o paese dove abbiamo suonato. Siamo a 290 bandierine ad oggi, sparse un po’ ovunque. È molto divertente fissare quella cartina perché guardando una bandierina a caso e leggendo il nome a fianco, inevitabilmente viene alla memoria qualche immagine di quel concerto, chi hai conosciuto, che disavventure ci sono state o non state, perfino l’odore di quella città può venire in mente fissando quella cartina… Già, perché ogni città ha il proprio odore speciale. Anche Sermide ovviamente ha il suo odore, che per noi è l’odore di casa, quell’odore che quando lo senti sa così di casa che ti fa quasi scappare da andare in bagno come quando torni dalle ferie. La nostra sala prove è in una casa di campagna frequentata più o meno da suonatori, 4 gatti e molti amici in un piccolo paese: Sermide, che passa esattamente sul 45° parallelo (la metà esatta dell’emisfero boreale) nel bel mezzo della nebbia padana. Questo è il posto dove abbiamo fatto tutto da sempre, anzi da molto prima di sempre dato che questo posto esiste da 13 anni e noi solo da 10. I quattro album sono stati scritti, suonati, registrati e mixati qui. Ma non solo, anche diversi nostri video in stop motion sono stati realizzati qui dal videomaker Giovanni Tutti. Insomma, una dimensione per noi perfetta, ricca di storie, personaggi, avventure, idee, umanità… Senza la quale probabilmente i Frank Sinutre non sarebbero esistiti. Ecco quindi che da questo spaccato emerge uno dei tanti vantaggi dell’abitare in paese. E poi in città le sale prove costano troppo, si hanno limiti di tempo, orari da rispettare, turni. Forse da qui in paese hai molta meno esposizione ma una grande libertà e tranquillità nel fare. La città però (ogni città) ha sicuramente di buono quel fascino misterioso a cui noi non siamo abituati, un fascino attraente che noi viviamo soprattutto di notte: proprio così una sera tornando da un concerto scrivemmo per lo scorso album “Driving thru a city by night” come a fotografia del nostro passaggio attraverso il cuore buio e misterioso di una qualsiasi città ipotetica.

Come mai avete deciso di utilizzare strumenti elettronici home-made nei vostri live?
[Isi Pavanelli] Più che una decisione è stata una cosa naturale. Il primo reactaBOX, infatti, esisteva già prima dei Frank Sinutre. Lo avevo costruito dopo aver visto in azione un vero reacTable ad un concerto di Bjork nel 2008. I FsN sono nati jammando insieme: reactaBOX e chitarra. Con questo setup abbiamo scoperto diversi lati positivi: libertà di improvvisazione, imprecisione quanto basta per dare un tocco di umanità, e il giusto limite alla libertà che, secondo noi, è il sale della creazione (hai 9 cubetti e devi farteli bastare). Da allora ne abbiamo costruite tre versioni, migliorando sempre qualcosa. La drummaBOX invece è una drum machine acustica costruita per fare concerti “unplugged”. Si programma dal PC come un qualunque sequencer, ma alla fine della catena ci sono dei martelli che colpiscono degli oggetti. Non la utilizziamo spesso perché ha un suono che era più adatto ai nostri primi dischi e difficilmente si amalgama con gli ultimi. Da poco stiamo sperimentando il prototipo di un nuovo strumento che abbiamo chiamato ROTOTUNE: si tratta di dispositivo che interagisce con i pickup della chitarra elettrica attraverso la rotazione di un motore: suonando una tastiera, un motore viene fatto girare ad una velocità tale da interagire con i pickup della chitarra e creare la giusta nota.

Ci raccontate come è nato il vostro ultimo album “200.000.000 Steps”?
[Michele K. Menghinez] “200.000.000 Steps” è il proseguimento naturale del filone sugli elementi intrapreso diversi anni fa. A parte il primo album “La Colpa della Leonessa” (colonna sonora per lo spettacolo teatrale omonimo inserito nel Festival de Teatro Social di Valensia), gli altri album si ispirano ognuno ad un elemento. Siamo abituati quando scriviamo e registriamo un disco a darci alcune regole da seguire, compresa quella di darci un tema: un po’ (ma non troppo) alla Lars Von Trier o alla Dogma ’95. Avere qualche regola aiuta le tracce del disco a suonare più o meno in modo coerente ed omogeneo tra loro. Per cui “Musique pour les Poissons” aveva come tema centrale l’acqua, “The Boy Who Believed He Could Fly” era invece ispirato all’aria, al volare e di conseguenza anche al cadere e al fallire, “200.000.000 Steps” è il nostro album di “terra”. 200 milioni di passi sono una stima del numero medio di passi che compie un homo sapiens sapiens nel corso della sua vita; circa 5 volte attorno al mondo… Praticamente una passeggiata molto lunga. 200 milioni è senza dubbio un numero incredibile, si fatica a pronunciarlo e ancora di più ad immaginarlo. Ma rappresenta la lunghezza della vita espressa con un’unità di misura alternativa al tempo. Quanti passi hai? Le canzoni che lo compongono sono più o meno verosimilmente collegate fra loro da un denominatore comune: la Terra come luogo in cui costruire la propria storia, la terra su cui camminiamo, viviamo, e dentro cui, alla fine della nostra passeggiata, andiamo a riposarci definitivamente. Tornando al discorso sulle regole che è necessario darsi, in questo caso (a differenza di “The Boy” nel quale prima abbiamo registrato il disco e poi con grandi sforzi imparato a suonarlo), per “200.000.000 Steps” abbiamo realizzato il percorso inverso, imparando prima a suonarlo costruendoci già un live attorno e solo diverso tempo dopo registrarlo per produrne un disco. Ma non solo, in “200.000.000 Steps” ci siamo concentrati maggiormente sulle linee di voce e abbiamo deciso inoltre di non utilizzare sequencer ma soltanto i pattern disponibili nei controller del Reactabox (i famosi 9 cubetti di cui prima). Infine, una terza differenza dagli album passati risiede nell’utilizzo massiccio di loop machine applicati agli strumenti analogici; questo aspetto rende i live molto più insidiosi da suonare da un certo punto di vista, ma anche molto più fisici e pieni.

Qual è la canzone del disco a cui siete più legati e perché?
[Isi Pavanelli] Sarà banale ma credo che sia proprio la “title-track”: parla di qualcosa di apparentemente importante: i 200 milioni di passi della nostra vita e lo fa con poche parole. Allo stesso tempo voleva essere un pezzo spensierato. Suonandolo le prime volte, abbiamo immaginato di suonarlo in spiaggia al tramonto mentre “l’uomo della discoteca esce dal mare di Ibiza”. Quest’estate, nonostante i pochi live, abbiamo avuto la fortuna di suonarla in spiaggia al tramonto :-). Poi siamo andati a dormire in un camper in un parcheggio che era anche il magazzino del locale dove avevamo suonato. Alla mattina Michele è stato svegliato dal cuoco.

 

Con che musica siete cresciuti? A chi vi ispirate per creare il vostro sound?
[Michele K. Menghinez] I miei genitori si sono conosciuti proprio grazie alla chitarra quando avevano 16 anni. “Samba Pa Ti” di Santana era il loro pezzo da innamorati. Sono cresciuto quindi a suon di “Papà come si fa il sol minore 7?” e loro pazientemente mi hanno insegnato i primi accordi; mio padre comprava dischi e cd e li si ascoltava registrati in cassette sulle autostrade per andare a Milano dai nonni o in vacanza. Quei dischi sono ancora i miei preferiti anche se poi negli anni a seguire ho iniziato ad ascoltare di tutto. Anche i primi concerti li ho visti grazie a Gianfranco, mio papà: Pink Floyd nell’89, e tre edizioni del Monsters of Rock; quando ancora i concerti costavano 50 mila lire e ti permettevano di vedere 12 ore di musica al caldo. Concerti che ora posso dire sono Storia. Metallica nel tour del Black Album, Iron Maiden nel tour di Fear of the Dark, ma anche Pantera quando ancora i 4/4 di loro erano in vita per il “Voulgar Display of Power tour”, tutti concerti capaci di farti guadagnare grande rispetto fra i metallari, specie se visti fra il ’90 e il ’92. Ma un impulso decisivo all’ascolto di generi musicali diversi mi fu sicuramente dato (a metà degli anni ’90) dalla fonoteca di Sermide, il nostro paese. Ringrazio ancora i ragazzi volontari che l’aprirono all’epoca: quasi mille titoli dal rock, al jazz, classica, disco, metal, elettronica, trip hop. CD gratis che si potevano tenere per una settimana e ovviamente li si poteva copiare in cassetta ed imparare a memoria. Fu una risorsa straordinaria per noi giovani suonatori del paese in un tempo in cui internet doveva fare ancora la sua comparsa; sicuramente questo ha contribuito a far sì che si potessero ampliare gli orizzonti musicali. Non solo, se oggi una traccia su YT l’ascolti una volta e basta per un minuto circa, in quegli anni un disco lo si ascoltava anche 30 volte in una settimana. Era molto diversa l’attenzione e la profondità di ascolto in quegli anni. Negli anni a seguire mi educai a non rinunciare a nessun tipo di musica e imparai a raccogliere i consigli di ascolto degli amici appassionati di musica non solo come semplici consigli ma come veri e propri regali. Tutto questo ha finito inevitabilmente per riverberarsi nella musica dei Frank Sinutre; ci piacciono infatti molti generi e ci piace mescolarli per quanto possibile.

Come avete passato il tempo in questo ultimo anno di reclusione?
[Isi Pavanelli] Il primo lockdown è stato sfruttato nel migliore dei modi: avevamo fortunatamente appena finito le riprese di 200MS, e siamo riusciti a mixare in “smart working”. Io lavoravo alle tracce, mandavo le bozze a Michele che provvedeva ad ascoltarle e a mandarmi un resoconto dettagliato delle sue impressioni. Quando mixi è molto importante avere un parere di qualcuno che non ha lavorato sul mix in prima persona. Ti dà una direzione e una visione per poter migliorare il mix di volta in volta. Il secondo lockdown invece sta procedendo in modo un po’ più “sparso”… stiamo lavorando a diverse cose ma in modo un po’ meno rigido: un remix, un nuovo video, un nuovo strumento (il ROTOTUNE di cui sopra), la configurazione di un nuovo live con un visual. Sì, sono tante cose, ma promettiamo di farle tutte male.

Se da domani fosse possibile tornare ai concerti, quale artista scegliereste di sentire per primo?
[Isi Pavanelli] Sicuramente a quello di Beck al Vittoriale a Gardone Riviera: ho già pagato per andarci ma purtroppo non ho potuto :-). Un altro concerto che mi piacerebbe rivedere è quello degli “I hate my village”. È stato uno degli ultimi che ho visto prima della chiusura e vorrei riprendere da lì. Magari in un locale piccolo e intimo. Di quelli dove ti senti vicino alla band che suona.