Se conosci Giorgieness, anche solo un pochino magari attraverso i suoi 5 brani fondamentali, sai già quanto poco senso abbia preparare una scaletta, che lei è una che spariglia tutto e fa entrare aria fresca, con la sua non aderenza alle frasi fatte e quella vocazione ad una brutale sincerità. Parlare con Giorgieness per forza di cose, ridefinisce il concetto di intervista, fino a farla diventare qualcos’altro, qualcosa che se ne frega del minutaggio e che ti tiene lì, felice di ascoltarla. Giorgia, che ha pubblicato il 28 maggio per Sound To Be Maledetta, primo singolo di un nuovo percorso artistico, me lo ha presentato, quando era ancora una creatura da rifinire, scrivendomi “so che sembra diverso da come mi conosci, ma questa sono davvero io”. E allora ho deciso di partire da lì, dallo svelamento e da ciò che ci sta dietro, che nulla è più attraente di un’anima che si rivela, e poche cose sono più coraggiose di un essere umano che dice “ecco, io sono questo”.

Mi racconti meglio quella frase?
Nasce dal fatto che ho avvertito un profondo cambiamento, iniziato con il primo disco, quando mi sono detta che non mi sarei mai ripetuta. L’urgenza s’è fatta, però, più forte dopo il secondo album, perché a distanza di tempo mi sono resa conto che non ero riuscita al cento per cento a mantenere quella promessa. E allora, punto e a capo: mi sono messa a scrivere tantissime canzoni e mi ha aiutata molto scrivere anche per altri, perché così mi sono staccata dalla mia comfort zone. In parallelo mi sono resa anche conto di essere stufa di raccontare sempre e solo le parti più brutte e tristi della mia vita e delle mie storie d’amore.

Hai cambiato tutto, anche la voce.
Qualcuno ascoltando Maledetta mi ha scritto che sentiva qualcosa di strano nella voce, e io credo sia dovuto al fatto che per la prima volta ho davvero cantato, interpretato.

Questo nuovo modo di cantare è arrivato in modo naturale o c’è dietro uno studio?
Un po’ tutte e due le cose: a un certo punto mi sono accorta che mi divertivo di più a cantare altre cose, magari pezzi che avevano un’altra tonalità rispetto alla mia abituale, e ho visto che mi venivano pure piuttosto bene, magari una volta sì e una no, ma intanto stavo scoprendo che potevo usare la voce in modo diverso. Da lì mi ci sono messa d’impegno, con l’aiuto di Ramiro (Levy, voce e chitarra dei Selton ndr.), che mi ha dato esercizi da fare per due mesi, ogni giorno, per farmi arrivare a questo super potere. Io, che ho sempre avuto molta paura degli insegnati di canto, perché mi sembrava facessero uscire cantanti fatti con lo stampino, oggi studio e mi prendo cura della voce, soprattutto per la voglia enorme di interpretare, interpretare al meglio.

Ora voglio sapere quali sono queste canzoni che ti hanno gasata così tanto.
C’è di ogni: da King Princess a Beyoncè, oggi ho quasi tutte reference femminili, mentre fino ai 20-21 anni avevo praticamente solo reference maschili, soprattutto nel punk, genere non particolarmente famoso per le sue belle voci.

Quanto è difficile staccarsi da se stessi per allargare, come dicevi, lo sguardo su altro e magari tentare di scrivere e cantare l’attualità?
Trovo sia molto complesso, e non sempre necessario. Credo se un musicista vuole fare la sua parte nel sociale, ma non ha quel sa tradurlo in note e parole, oggi ha comunque a disposizione tantissimi mezzi per dire la sua. Io cerco sempre di evitare l’effetto “titolo di giornale”, non apprezzo quando si parla di sociale in modo superficiale. Credo ci siano pochi gruppi a saperlo fare, e per me i migliori in questo, proprio a livello di competenza e di lessico, sono I Ministri. Però è una cosa che sto cercando di fare via via sempre di più, com’è stato per Controllo, il pezzo del mio secondo album dove sì, il tema era riconducibile alla violenza di genere, ma raccontato attraverso le dinamiche stratificate e molto complesse di due persone che, in realtà, sono convinte di amarsi, con tutto la rovinosa conseguenza di sensi di colpa e dolore. Nel prossimo disco continuerò questa narrazione, ma senza il “c’è stato il lockdown, faccio un pezzo sul lockdown/c’è stata la quarantena, faccio un pezzo sulla quarantena”.

Poco fa parlavi del bisogno di svolta, dopo il tuo secondo disco Siamo tutti stanchi: ma allora è vera la leggenda che vuole il secondo come il lavoro più difficile?
Il secondo disco è delicato, specie se il primo (La giusta distanza ndr.) è andato bene, se si pensa che ero un’artista indipendente e sconosciuta. Con il secondo hai voglia e fretta di farlo uscire, perché sei ancora tutto presa da quello che è successo di bello, e vuoi rimanere sull’onda. Poi, cosa non da poco, dopo 250 date dal vivo, com’è successo a me con il primo tour, avevo davvero bisogno di canzoni nuove da suonare, che quelle ormai non le reggevo più. Insomma, c’era tutta una presa bene generale e l’abbiamo fatto uscire, ad oggi credo troppo presto, ma sono comunque pezzi a cui sono mega affezionata, non mi pento per nulla di Siamo tutti stanchi, però sì, forse la leggenda è in parte vera.

Che cosa ti hanno detto le persone che ti seguono su Maledetta (e mentre te lo chiedo me la canto)?
Nelle prime 48 ore dall’uscita del pezzo, mi sono sentita dentro una bolla di amore e di affetto, e la cosa che più mi è piaciuta è stato questo sentimento di orgoglio collettivo, come se fossimo tutti fieri di quella canzone. Ho sentito la felicità degli altri pari alla mia, e questa cosa mi ha spiazzata, perché sì, puoi sperare che succeda, ma non è per nulla scontato. Sentirsi dire “sono felice per te, di sentirti così cresciuta, così serena rispetto a com’eri prima” è una cosa brividi.

Anche la copertina emana belle vibrazioni; so che l’ha fatta Momusso, mi racconti com’è andata tra voi?
Ci siamo conosciute a un evento ed è nata un’amicizia fondata sull’erbazzone, che è diventato il nostro piatto preferito per tipo due mesi (ps: chi scrive è emiliana, quindi conosce la materia, per gli altri consiglio di approfondire l’argomento). Da lì abbiamo continuato a sentirci e quando poi le ho fatto sentire la canzone, le è piaciuta subito, e non ci sono stati dubbi sul fatto che sarebbe stata lei a fare la cover. Incredibile, poi, che appena ricevuta la foto di Giulia Bartolini, lei abbia capito al volo che cosa desideravo. Sono felice quando so di avere intorno una squadra che lavora al mio fianco, che crede in me come io credo in loro.

Oggi è uscito il video (LINK), come vi è venuta questa idea geniale che ha evaso le barriere del lockdown?
L’idea è venuta al regista, Silvano Richini, che per, appunto, non farsi bloccare la distanza, che lui sta a Brescia e io a Torino, ha fatto in modo che davanti allo schermo della videocamera ci fosse un cellulare, con dentro me, e poi ha costruito una casetta di cartone con le stanze che somigliano a quelle di casa mia, dove mi si vede fare il playback ma anche dei balletti, alè, ma la cosa bella è che a un certo punto arrivano anche le immagini della mia vacanza ad Amalfi, la scorsa estate. Questo perché mi sono accorta che per descrivere quella canzone dovevo usare le immagini di quando l’ho scritta dentro di me.

Giorgia, dicci quello che ci puoi dire sulle prossime uscite.
Posso dire che dopo l’estate uscirà un altro singolo, ma passerò l’estate in studio perché l’album uscirà in un generico autunno.

E il mood cambierà?
Parte da qui, ma ci saranno dei cambi di mood anche belli forti. Questo disco lo identifico come un lungo discorso di rinascita, che parte da dove ci eravamo lasciati con l’altro disco fino ad oggi, e Maledetta si colloca a metà.

Un’ultima domanda, leggera eh, perché siamo al telefono da un po’: come descriveresti la rinascita?
Per me parte da un momento in cui sentivo di aver perso ogni cosa, ma davvero tutto, dalla mia casa agli affetti più vicini, e arriva ad un presente di guarigione. Rinascita è capire, più o meno, chi sei e che cosa realmente vuoi. E “realmente” è una parola importante, perché riconduce tutto alla verità, che non sta e non può stare nei giudizi e nelle parole degli altri.

Sgarro, e ti chiedo un’altra cosa: riesci a parlare di tutto nelle tue canzoni?
C’è qualcosa di cui vorrei tanto scrivere, ma che ancora non riesco ad affrontare e sono i miei genitori. Forse proprio per il rapporto molto stretto che ho con loro, mi ferirebbe ferirli, dicendo qualcosa di più e allo stesso tempo non vorrei non raccontarlo in modo sincero. Non sono pronta, è qualcosa di ancora troppo complesso.

Senti, secondo me siamo state troppo serie, tu che dici?
Eh, mannaggia al cazzo.