Quella islandese sembra davvero essere una corrente inesauribile di bellezza musicale. Sempre eleganti e poco materici gli artisti dell’isola che non a caso ha dato i natali a gente come Bjork e Jonsi, trovano, oggi, una felice rappresentanza nei Vök, band capitanata dalla cantante Margrét Rán e dal suo braccio destro, il sassofonista Andri Már, accompagnati per questo album intitolato Fugure anche dal chitarrista-bassista Ólafur Alexander e il batterista Einar Stef.

I quattro di Reykjavik, che il 28 luglio saranno a Lugano al Roam | Longlake Festival e il 29 a Serravalle Pistoiese per il Serravalle Rock, hanno risposto a qualche nostra domanda, lasciando, però, intendere che è sul palco, con i loro strumenti e le loro canzoni, che riescono a raccontarsi al meglio.

Vök, se doveste spiegare quali sono le cose che ispirano di più la vostra musica, che cosa menzionereste?

(Risponde Margrét) Ascoltare altra musica è senza dubbio una delle 3 maggiori fonti di ispirazione per noi. Le altre due sono l’amore e il caffè.

E che cosa raccontate, invece, nei vostri pezzi?

Soprattutto in quest’ultimo disco, Figure, parliamo di emozioni, di sentimenti e più in generale di ciò che ci accade.

Quando e come avete iniziato a fare musica?

Sapevo fin da piccola che avrei fatto la musicista. Io e Oli (Olafura) abbiamo fondato una band quando avevamo rispettivamente 13 e 11 anni e l’abbiamo chiamata The Wipeout. Due anni dopo, però, ho incontrato Andri e con lui è scattato un feeling pazzesco, perché avevamo esattamente gli stessi gusti e la stessa vocazione verso un genere dream pop, ovvero un’elettronica soft, sexy, suadente. Da lì sono nati i primi lavori dei Vök.

Da che cosa nasce il nome Vök?

Dal fatto che a me e Andri suonasse cool e anche a livello visivo fosse bello, a volte mi sembra quasi un brand di alta moda quando lo guardo.

Quanto siete legati all’Islanda?

Tantissimo. Amo l’Islanda, mi sento profondamente islandese e fiera di esserlo. Amo vivere qui, tutti i miei amici e la mia famiglia sono qui, ma ammetto che talvolta sarei tentata di provare a stare in un posto diverso, giusto per cambiare un po’, o magari solo per poter dire “ok, ci ho provato, ma nessun posto è come l’Islanda!”

In questo momento storico così incasinato e pieno di paure, quale pensi che sia il ruolo che la musica dovrebbe avere?

Io penso che la musica dovrebbe stimolare le persone a fare qualcosa, dovrebbe incitare al cambiamento e al miglioramento. Non dico che sia facile, ma amo la musica quando è controversa, quando ti fa arrivare da qualche parte con il tuo pensiero senza che tu quasi te ne accorga. Sì, credo che oggi la musica debba essere in qualche modo politica, perché il periodo è troppo delicato per mollare e parlare d’altro.